Questa è una delle scene più riuscite di Dogville. Un film che, a dir la verità, meriterebbe di essere ricordato per intero, e non per uno solo dei suoi momenti. Questo, in particolare, è un concentrato di crudeltà e violenza psicologica, che arriva dritto dritto allo stomaco e al cervello, facendoti venir voglia di urlare e di piangere insieme a Grace purché le donne del villaggio la smettano di torturarla. Si tratta, per chi conosce il film, della scena delle statuette. Basta questo a dire tutto. Per chi invece il film non lo ha mai visto, stiamo parlando della scena in cui Vera (Patricia Clarkson) decide di punire Nicole Kidman per un colpa che in realtà non le appartiene, fracassandole ad una ad una le statuette che lei ha faticosamente collezionato coi soldi del suo intenso lavoro. A meno che non riesca a smettere di piangere: solo in tal caso lei smetterà di romperle.
Nell’istante in cui le statuine s’infrangono al suolo, sembra che qualcosa si rompa anche in Grace, per cui non riesce a fare a meno di piangere, e il suo decantato autocontrollo sparisce in un attimo. Ogni colpo, ogni schianto della ceramica che va in mille pezzi è un sussulto, tanto della povera Grace, quanto di chi osserva. Ma la sua vendetta sarà ancora più perversa, una legge del contrappasso degna del miglior inferno dantesco, per versare la resistenza alle lacrime della malfattrice su ciò a cui lei, stavolta, tiene di più.
Mi sono sempre chiesto che cosa si provi a lanciare contro un muro, o sul pavimento, un piatto, un bicchiere, un oggetto di vetro o di porcellana. Non per il rumore, ma per la sensazione che si prova. Mi viene da pensare che abbia un effetto liberatorio. Prima o poi ci provo, mi ripeto, e poi mi ricordo di questa scena. E allora mi dico che forse on è liberatorio, è crudele.
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