In un mondo inimmaginabilmente perfetto, anche al cinema le cose funzionerebbero come si deve. Persino agli Oscar. Ognuno vincerebbe al momento giusto, e ogni attore e attrice si vedrebbe consegnare la statuetta per la sua performance più rappresentativa. A Julianne Moore, purtroppo, le cose non andranno in questo modo.
Guardando Still Alice, mentre ammiravo la maestria di un’artista del grande schermo che sa sempre come dare il meglio di sé, non riuscivo a fare a meno di pensare che questo non passerà alla storia come il suo film migliore, nonostante sia un gran bel film. Forse la statuetta l’aiuterà a far ricordare al mondo intero la sua Alice Howland come il suo personaggio più famoso, ma non per questo anche il migliore. È un peccato che non le abbiano assegnato il premio per opere come, che so, Boogie Nights, o The Hours, o Lontano dal paradiso, per i quali è stata puntualmente nominata, ma senza vincere niente. Allora forse la si sarebbe potuta premiare per film più memorabili, e per interpretazioni, se possibile, ancora più riuscite.
Se questo fosse un film uscito mesi fa e gli Oscar fossero ancora soltanto un miraggio, probabilmente questa riflessione non avrebbe mai preso forma nella mia testa, ma tant’è. Dovremmo accontentarci così, pensando che Julianne Moore trionferà ai prossimi Oscar un po’ perché sono anni ormai che l’Academy le deve quel premio, e un po’ perché lo merita davvero.
La sua è con ogni probabilità l’interpretazione femminile migliore del 2014. Solo lei poteva dare concretezza ad un dolore che lentamente s’impossessa della vita di una donna che è anche madre, moglie e professoressa universitaria di successo, e di quelle del marito e dei loro figli. Still Alice ci pone di fronte ad una deriva a cui possiamo solo assistere imponenti, proprio come accade alla famiglia che la circonda, mentre l’Alzheimer sgretola a poco a poco i frammenti dell’esistenza della protagonista lasciandole soltanto delle briciole, destinate a svanire anche loro. Il nome della primogenita o il mese del proprio compleanno sono i ricordi a cui Alice si aggrappa come un’ancora di salvezza per non scivolare nell’oblio, e quando accade, perché lei e noi sappiamo che accadrà, soltanto l’amore dei suoi cari potrà donarle la dignità dell’esistenza umana. Come quello della figlia minore (Kristen Stewart), con cui il dialogo è sempre stato insidiato dalle precedenti divergenze: quella stessa figlia che le resterà accanto e con cui si riconcilierà nel segno dell’amore che le unisce.
Se Julianne Moore è semplicemente perfetta, il film in sé sfiora la perfezione ma non la raggiunge appieno. Sarà per la conclusione che lascia un po’ l’amaro in bocca (commovente ma inaspettata), o forse per il ritmo troppo veloce che non lascia il tempo per metabolizzare, c’è qualcosina che manca alla fin fine. Appena un poco in più, e avrebbe raggiunto il massimo.
VOTO: 9
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