C’è molto in Jurassic Park che ti fa presagire un senso di grandezza e di epicità soltanto a pensarci. Il fatto che l’idea non fosse originale, ma venisse da un romanzo di Michael Crichton non ne sminuisce il valore. Immagina un mondo in cui i dinosauri tornano in vita, e interagire con loro diventa nuovamente realtà, e ne senti subito il brivido e la poesia. Il momento in cui il professor Grant incontra per la prima volta dal vivo un Brachiosauro è pura magia. Il fatto che gli effetti speciali siano ovviamente desueti per i giorni nostri non rompe affatto la dimensione di sogno in cui siamo immersi.
Buona parte del film è costruita sul senso di attesa che genera tensione e curiosità nello spettatore che, come i visitatori del parco, non vede l’ora di ammirare le creature estinte riportate sulla terra. Spielberg sa giocare con quella curiosità, mostrandoci, nell’ordine, un uomo sbranato da una bestia feroce di cui non vediamo che un occhio, un bovino divorato brutalmente da altre bestie nascoste dalle fronde degli alberi, una sfortunata capra in attesa di servire da cena ad un T-Rex e i nostri protagonisti che si aggirano tra i recinti vuoti chiedendosi dove siano finiti gli animali. Ci fa aspettare, e aspettare, e ancora aspettare.
Naturale che, quando i dinosauri compaiono sulla scena, siamo assorbiti completamente dalle immagini. Chi se ne importa se ci sono delle incongruenze di ordine scientifico e se l’altezza dei dinosauri non è proprio quella giusta. Andiamo al cinema per sognare, e alcuni nei sono perdonabili. Quello che alla fin fine non si riesce a mandare giù, è la prevedibilità della trama. Tutti si aspettano che prima o poi debba succedere qualcosa, e l’alone di mistero non fa che accrescere le nostre aspettative. Ovvio che i dinosauri non risultino addomesticabili e che le cose sfuggano al controllo degli scienziati. Ma quando già a metà film riesci a capire chi sopravvive e chi no, allora è decisamente scontato. Passi pure la colonna sonora di John Williams che è un po’ troppo pomposa per i miei gusti, di quelle che forse stanno bene solo a Star Wars.
L’eccesso di bontà è la vera pecca. Se questo fosse stato un film horror, non si sarebbe salvato nessuno tranne la bionda Laura Dern. Se invece fosse stato nelle mani di Francis Ford Coppola, forse sarebbe rimasto vivo anche qualcun altro, ma la salvezza non sarebbe stata priva di conseguenze. In questo caso, invece, tutti i protagonisti portano sana la pelle a casa, persino i due bambini, adorabili per carità, ma che riescono a tenere testa a due velociraptor. L’unico giustamente punito è il “cattivo” della situazione, che poi ha la faccia del simpaticone Wayne Knight (oltre che un altro paio di individui di cui non ci importa granché). Né il creatore del parco interpretato da Richard Attenborough, né il personaggio principale a cui dà corpo Sam Neill, di cui un numero troppo esile di registi ha compreso le (maggiori) potenzialità nei ruoli da antagonista.
C’è Jeff Goldblum nella parte di uno spassoso matematico, che è il personaggio più riuscito del film. Ci sono un paio di battute che restituiscono leggerezza e brio alla narrazione. C’è pure una particina di Samuel L. Jackson. E poi, si è già detto, ci sono loro, i dinosauri. Dal momento in cui entrano in scena fanno entrare Jurassic Park nella storia. C’è suspense, incanto, un senso di incertezza che riguardo questi esseri preistorici. Però speravo che almeno uno dei protagonisti finisse nelle loro fauci. Sarebbe stato più credibile, e imprevedibile. Magari proprio quel carciofone di Sam Neill.
VOTO: 7
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