Raffaele Viviani era un drammaturgo e poeta napoletano che con ogni probabilità oggi viene troppo spesso dimenticato, al contrario di altri colleghi più celebri. Complice (e maggiore responsabile) la mancanza di filmati che ci consegnino una testimonianza della sua opera. Di lui abbiamo testi teatrali, 33 giri e alcune fotografie. Essendo morto nel 1950, non fece in tempo ad approfittare del mezzo televisivo per lasciarci un ricordo indelebile di qualche sua commedia. Per una sfortuna ancora più grande, quella manciata di film a cui prese parte è andata perduta, forse per sempre. Resta soltanto questa sua pellicola del 1932, La tavola dei poveri, in cui recita da protagonista nella parte di un marchese caduto in disgrazia, e costretto per questo a disfarsi di tutti i suoi beni.
Vale la pena di recuperare il film, soltanto per poter vedere questo maestro del teatro all’opera. La recitazione di Viviani è assolutamente godibile, anche solo per una smorfia della bocca o un’alzata di sopracciglio. Non ha nulla da invidiare ai grandi caratteristi del cinema italiano, accanto ai quali sarebbe certamente ricordato oggi, se ne avesse avuto la possibilità. Nondimeno, il valore di documento storico rappresenta forse l’unico motivo per andare a ripescare il film e il suo interprete dall’oblio. Per la precisione, si tratta di un filmetto, e non in senso propriamente spregiativo, ma perché è una pellicola mediocre, di quelle che potreste vedere in un pomeriggio d’estate in cui siete stesi sul divano a fare zapping incapaci di combattere l’afa, e mentre vi scansate l’ennesima replica de La signora in giallo o la Barbara nazionale, incappate in questo film di appena 70 minuti, e lasciate il telecomando giusto per ammazzare il tempo.
Questa versione cinematografica de La tavola dei poveri, diretta da Alessandro Blasetti, conserva troppo l’impronta del testo teatrale da cui deriva (sempre di Viviani). Le scene girate in esterni, se da un lato si confanno alla logica imperante a quei tempi di mostrare un’Italia florida, allegra, industriale e industriosa, dall’altro sembrano aggiunte qua e là come dei riempitivi che servono soltanto ad allungare il brodo. La passeggiata in carrozza, la visita alle fabbriche, altri due personaggi che si muovono in automobile, nulla di questo entra veramente nella narrazione, che a tratti sembra un po’ acerba e forzata.
Neanche la conclusione convince assai. Il film scorre serenamente fino a un certo punto, e non manca di accenni comici in qualche scambio di battute e simpatici equivoci, ma sul finale sembra buttato via così, e ti ritrovi alla parola FINE senza nemmeno aver capito come e perché ci si è arrivati. Ho letto in una recensione trovata in rete che neppure all’epoca il film ebbe successo. La moraletta, come si legge, non era peggiore di quelle di altri film coevi, ma per un pubblico di oggi non dice niente, e alla fin fine ti dispiace pure per il povero marchese, ma non fino a commuoverti. Il talento di Viviani, però, si vede. Peccato, avrebbe potuto avere di più dalla vita.
VOTO: 5
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