La speranza è l’unica cosa più forte della paura

Devo averlo già detto in qualche altra occasione, e anche a costo di ripetermi, lo ribadisco: i film fantasy-distopico-postapocalittici esercitano un fascino da cui non riesco a sottrarmi. Sarà perché tentano a loro modo di rispondere alla domanda che un po’ tutti noi distrattamente ci poniamo, su quale futuro attenda il nostro pianeta e i suoi abitanti; sarà perché c’è sempre un reietto a cui non resta che prendere in mano la situazione per ribaltare le cose, e l’idea di riscatto per chi parte svantaggiato pure ha la sua carica di attrattiva. Senza contare il fatto che quando l’eroe è propriamente un’eroina mi sciolgo davanti allo schermo.

Katniss Everdeen è l’eroina dei giorni nostri di cui mi sono innamorato al primo colpo. Quando ho visto Hunger Games per la prima volta sono rimasto col fiato sospeso per tutto il tempo, dalla cerimonia della mietitura alla proclamazione del vincitore, nonostante fosse altamente prevedibile che proprio la protagonista di una saga non ci avrebbe rimesso la pelle al primo capitolo della serie. La seconda volta è stato uguale, e rivedendolo per la terza ho provato ancora la stessa morsa allo stomaco, la stessa tensione di chi rimane irrigidito sulla poltrona con gli occhi fissi sul televisore nella speranza che le cose si mettano per il meglio. Il filone sempre più nutrito delle distopie letteral-cinematografiche ha il suo fascino, ma non sempre azzecca il colpo, anzi: il più delle volte si fa meglio a prepararsi con anticipo alla delusione. Hunger Games invece il bersaglio l’ha centrato in pieno fin dall’inizio, e lasciamo stare la querelle di chi ha copiato Battle Royale e se tutti e due magari devono qualcosa a Robert Sheckley e al suo racconto. È riuscito benissimo, e tanto mi basta.

Più che ai suoi predecessori, Hunger Games deve il suo incanto e il suo successo alla rappresentazione in chiave moderna del mito del Minotauro, dove Capitol City è la Creta del futuro che esige le teste dei suoi giovani sottomessi, e il mostro non si aggira soltanto nei luoghi del potere, ma sono anche quelle stesse vittime nel preciso istante in cui sono chiamate a farsi carnefici. Ma l’altro suo punto forte sono i personaggi, a cominciare da Katniss Everdeen, che non solo per nostra fortuna ha le sembianze della bella e brava Jennifer Lawrence, incredibile dimostrazione che non basta avere un bel visino per dare spessore al protagonista di un film fantasy, a finire con quelli di secondo piano. Prima ancora delle meravigliose aggiunte dei capitoli successivi, già ci sono Elizabeth Banks, splendida incarnazione della frivolezza della capitale e amabilmente detestabile, Woody Harrelson, l’ironico beone solo apparentemente insensibile, e Stanley Tucci, il portavoce dell’ipocrisia mascherata con una buona dose di trucco e tinture per capelli. E ancora Wes Bentley, Lenny Kravitz, la scoperta Josh Hutcherson, non ce n’è uno che non imparerete ad amare per questo e per gli altri film che concludono il ciclo. E poi c’è Donald Sutherland nella parte del cattivone che tira i fili delle vite di tutti gli abitanti dei 12 distretti: guardatelo in faccia, e ditemi se si poteva chiedere di meglio per quella parte.

Quando uscii dalla sala, tre anni fa, rimasi letteralmente estasiato, più di quanto avrei potuto prevedere. Per gli assurdi costumi sgargianti, per questa eccezionale e temibile società da anti-utopia, per la credibilità dei giovani interpreti, per il crescendo di tensione che ti blocca il cuore nel momento in cui mettono piede nell’arena. C’è una solida struttura semi-filosofica, se così vogliamo chiamarla, in un film che prova a immaginare le rovine della guerra, i rischi della umana tracotanza e del delirio di onnipotenza, gli sviluppi di un ipotetico processo storico in cui il progresso tecnologico si scontra con l’involuzione del genere umano; ma c’è anche tanta azione e tanta suspense che si presenta come la naturale conseguenza di quella riflessione sociologica, una buona dose di sentimentalismo, sangue versato ingiustamente, e pure gli effetti speciali e le invenzioni di fantasia che si ritrovano solo nei film di fantascienza, per non deludere gli amanti del genere. Hunger Games ha proprio tutto. Hunger Games è un capolavoro dei nostri tempi.

VOTO: 10

Una replica a “La speranza è l’unica cosa più forte della paura”

  1. […] conclusivo di Hunger Games, mi sono preparato con una maratona dei film prodotti fino ad ora. Del primo e del terzo ho già parlato, e stavolta tocca al numero due, La ragazza di fuoco. Un ottimo modo […]

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