Ladri di biciclette

Mi è successa una cosa insolita. Ieri ho visto questo film, Ladri di biciclette, e adesso che mi trovo qui a scriverne non so proprio come cominciare. Di solito ho le idee ben chiare. Temo che qualunque cosa possa dire, sarebbe banale. Non ci voglio mica io per dire che si tratta di un capolavoro. In questo momento, mentre sto scrivendo, mi viene in mente che potrei iniziare col dire cos’è che mi ha colpito. Farò così, e perdonatemi se scrivo un po’ come viene viene.

Dunque, la prima cosa che ho notato è stata questa. Verso la fine, il protagonista Antonio Ricci, sempre col figlio al seguito, attraversa la strada. Niente di eccezionale. Sta di fatto, però, che mentre lui cammina qualche metro più avanti, il piccolo Bruno sta quasi per essere investito, e il padre neanche se ne accorge. La cinepresa si muove con lui, lo segue lungo la sua camminata, e Bruno entra nell’inquadratura quasi per caso. Molto prima, una scena analoga. I due cercano riparo dalla pioggia, e mentre il padre corre a rifugiarsi sotto una tettoia, il povero Bruno scivola sul marciapiede bagnato. Il padre se ne accorgerà qualche minuto dopo, e non darà il minimo peso alla cosa. A questo avvenimento, ho sentito qualcuno seduto dietro di me che sussultava. Antonio no, lui neanche se n’è accorto che il figlio è caduto.

Allora voi direte, perché questa cosa sarebbe degna di attenzione? Forse non lo è, ma mi viene da pensare che se Ladri di biciclette fosse stato girato sempre nel 1948 ma in America, questi due fatti non sarebbero passati inosservati, dai personaggi stessi intendo. Sarebbero stata l’occasione perfetta per muovere il genitore a compassione, far abbracciare padre e figlio e condire il film con un pizzico di sentimentalismo. Invece qui no, Vittorio De Sica sceglie un’altra strada, e Antonio continua a camminare per fatti suoi, perché è assorto nei suoi pensieri, e nella vita quotidiana è assai più probabile che, se un bambino cade per strada e si sporca il vestito, dopo lo aspetti pure un bel cazziatone. La bellezza di Ladri di biciclette sta nella sua assoluta normalità, e nella capacità di mostrare che il drammatico si annida anche nelle vite più comuni. Fare un intero film su un padre di famiglia che ha perduto la sua bicicletta, senza la quale perderà anche il lavoro, facendolo sembrare una storia normale e di straordinario impatto allo stesso tempo non dev’essere facile.

Ancora più sorprendente è che né Lamberto MaggioraniEnzo Staiola erano attori professionisti, eppure sono bravi come nessun altro mai avrebbe potuto esserlo. Soprattutto il piccolo Bruno, è davvero il bambino più adorabile e convincente che sia mai apparso sullo schermo, e sulla sua faccia passa il senso dell’intero film e di tutto un Paese. Due persone come le altre, che forse proprio per questo riescono a rendere al meglio la disperazione della classe sociale a cui appartengono, e che sono destinate, sul finale, a confondersi nella folla, in mezzo a tutte quelle altre insignificanti, impopolari, comunissime esistenze.

VOTO: 9

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