Nastro rosso a New York

Dopo migliaia di pellicole sul satanismo, sui patti col diavolo e sulle case infestate, si ha un po’ la sensazione che alla fin fine si assomiglino tutte, almeno per il sottoscritto, e che quelli che dovrebbero essere gli innovatori non inventano proprio niente rispetto a chi li ha preceduti. E allora tanto vale andarsi a recuperare uno dei capostipiti del genere, Rosemary’s Baby, forse il vero iniziatore in assoluto che, pur essendo datato 1968, fatica a trovare degni rivali che possano superarne i pregi.

Rosemary’s Baby è uno di quei film che non mettono paura, ma agiscono su una zona più profonda del nostro io: perché la paura può pure passare, e a rivedere il film magari non ti spaventi neanche più, ma l’angoscia, l’inquietudine, l’ansia, quelli restano, e ti tormentano anche quando spingi il tasto stop sul telecomando. È anche uno di quei film che portano all’estremo il concetto di umanità, se persino la più candida delle anime può dubitare delle proprie convinzioni per amore di un figlio.

Questa pellicola, la quinta di Roman Polański, funziona perché funzionano i personaggi, a cominciare da Mia Farrow, che ha il corpo migliore che si poteva chiedere per quella parte, a Ruth Gordon, premio Oscar per la sua interpretazione, la vicina di casa più curiosa, invadente, misteriosa e anche raccapricciante che si sia mai avuta al cinema. Non che gli altri abitanti dello stabile non le facciano concorrenza quanto a far accapponare la pelle. Funziona perché è capace di immetterti nel vortice della tensione senza aspettare neanche un attimo, dai titoli di coda accompagnati dalla sinistra cantilena, e può trascinarti sempre più in basso, scena dopo scena, così che quando l’intrigo è già mezzo svelato continui ad osservare i fatti con preoccupazione.

Funziona, soprattutto, perché non sente il bisogno di farti scrutare ogni più piccolo dettaglio fino in fondo, evitando di sfociare in ovvie rappresentazioni che, soprattutto per un pubblico moderno, risulterebbero già viste e riviste. Quasi cinquant’anni fa, Roman Polański aveva capito che far sentire una voce senza indicare da dove provenga, mettere al centro della vicenda un nascituro senza mai mostrarlo, insomma decidere di occultare più che di esibire, può essere tanto meglio che dare al pubblico una visione totale dei fatti, perché è quello che non riesci a comprendere ciò che ti fa più paura. Rosemary’s Baby eccelle nelle impareggiabili sequenze oniriche (anche queste tra le più affascinanti e agghiaccianti di sempre) e sa combinare l’incubo del satanismo con il luogo per eccellenza più terrificante che il cinema horror conosca, la propria casa, esprimendo al meglio tutte le potenzialità di un genere che troppo spesso viene considerato di serie B, e che invece può condizionarti molto più di tutti gli altri.

VOTO: 10

Una replica a “Nastro rosso a New York”

  1. […] più spaventoso in cui vivere. Il regista polacco l’aveva fatto già otto anni prima con Rosemary’s Baby, solo che lì il sovrannaturale si metteva di mezzo e la chiave del mistero stava proprio nelle […]

    "Mi piace"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: