Voglio raccontarvi una storia. Anzi, voglio raccontarvene tre. Un re e una regina non riescono ad avere figli, e con un rimedio assai originale, lei potrà finalmente provare l’ebbrezza della maternità, ma il principe non sarà il solo a nascere da quell’espediente. Da un’altra parte, un sovrano alleva un insolito animale, e sulla sua pelle si deciderà il futuro marito della figlia. Ancora, due vecchie sorelle s’inventano uno stratagemma per ingannare un re, ma le cose possono essere più complicate del previsto.
Il racconto del racconti è l’opera ottava di Matteo Garrone, che torna a dirigere un film a episodi destinati, però, a incrociarsi lungo la strada di una famiglia di circensi: sono giocolieri e artisti di strada, con cui il film si apre e si chiude, nel segno comune del gioco e dell’intrattenimento che restituisce la storia alla sua dimensione originale. Perché come già in Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, la favola deve tener compagnia. Ma non è di intrattenimento per bambini che stiamo parlando, così come già l’opera letteraria (nonostante il titolo) era destinata ad un pubblico adulto. C’è la velata ironia, l’oscenità, la deformazione grottesca che dalle pagine del libro passano direttamente allo schermo cinematografico.
L’elemento che rende possibile la narrazione è il fantastico; in questo senso, Garrone è probabilmente l’autore del primo grande fantasy italiano, e non è neppure un fantasy qualunque. Dai commenti che ho letto in rete, e dalle facce degli altri spettatori quando sono apparsi i titoli di coda, dovrei dedurre che Il racconto dei racconti non è un film popolare. Di sicuro, non è Harry Potter. Laddove Basile si serviva di un dialetto colorito, Garrone sceglie invece di puntare sul fattore visivo, in un film che di parole ne ha assai poche. Sono le immagini a fare tutto, a dirci se dobbiamo ridere o restare in attesa, e con le immagini si compongono le trame in cui Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, Bebe Cave, Hayley Carmichael danno corpo al folclore e all’immaginazione. È un tripudio di colori, di seni, castelli, paesaggi rocciosi, vedute sconfinate sospesi tutti in un fiabesco incantato eppure così concreto. Ogni inquadratura, ogni scena pare un quadro vivente. A tenere alta l’attenzione, ci pensa la suspense, gestita con mirabile maestria anche grazie all’accompagnamento sonoro: la macchina da presa segue i personaggi da dietro, indugiando sulle loro schiene, o scendendo lentamente dall’alto, prima di svelarci una nuova sorpresa. Insomma, entri in un mondo magico, resti affascinato dagli scenari incantevoli e le creature mostruose, e rimani col fiato sospeso tutto il tempo. Se fossero stati presenti in sala, mi sarei inchinato di fronte agli scenografi, mi sarei tolto il cappello davanti a Alexandre Desplat per le sue musiche, e avrei stretto la mano a Matteo Garrone per avermi fatto credere che il cinema italiano è ancora grande.
VOTO: 10
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