Christopher Walken ha una di quelle facce che ti rendono particolarmente adatto a interpretare un malavitoso, o un demone venuto dall’inferno, o qualunque altro ruolo da cattivo. Che poi possa riuscire a fare anche altro al di là del cattivo, quello è un altro paio di maniche, ma con quella faccia lì ci sono parti che gli spettano di diritto. Come quella del cavaliere mozzateste ne Il mistero di Sleepy Hollow, per esempio.
Ci sono tante facce che non ricordavo avessero preso parte a questo film (non quella indimenticabile di Walken). Miranda Richardson è una di quelle, come anche Richard Griffiths, o Christopher Lee, o Michael Gambon, tutti attori che in un’atmosfera da paura, in cui chiunque è sospettato perché ognuno potrebbe essere un assassino, ci stanno bene. Ricordavo benissimo invece la presenza di Casper Van Dien (ma che fine avrà fatto?), e soprattutto di una eterea Christina Ricci, prima ancora che un velo di oblio si stendesse sulla sua carriera, con quel volto a metà tra l’angelico e lo spettrale, che non sai mai se fidarti o tenere gli occhi ben aperti quando c’è lei. Ricordavo, ovviamente, un Johnny Depp protagonista buffo e spavaldo, tutto arroccato sulle sue convinzioni logiche e scientifiche, salvo poi crollare giù appena l’impossibile si fa strada davanti ai suoi occhi. Forse anche troppo buffo, a pensarci bene.
Il mistero di Sleepy Hollow è passato alla storia come uno dei film più riusciti di Tim Burton: sul piano visivo, non c’è affatto dubbio. Burton sa come giocare con le luci e quando abbondare con le ombre, sa meglio di chiunque altro come proiettarci in una dimensione fiabesca, gotica, a suo modo inquietante ma anche molto, molto affascinante. Sa come dosare i colori, alternando per esempio qualche buona sequenza onirica illuminata da un aura celestiale alle immagini d’una realtà che fa più paura di un incubo. Il villaggio di Sleepy Hollow, il suo bosco, l’albero della morte, la grotta, la casetta in rovina sono la riuscita ricostruzione di un’immaginario dark e misterioso che solo lui poteva rendere palpabile attraverso il cinema.
Naturalmente ci vuole anche una buona storia. Burton aveva a disposizione un ottimo soggetto, tratto dal racconto di Washington Irving, che nelle sue mani è diventato un film in cui l’elemento orrorifico va a braccetto con un complotto tra gli anziani della comunità, da cui il mistero da risolvere: perché mai un cavaliere senza testa è tornato dal mondo dei morti a mietere vittime tra i membri del villaggio? Un racconto dell’orrore combinato al thriller e all’avventura. Solo che Burton ha esagerato con lo humour. Una risata è quello che ci vuole per smorzare la tensione, o semplicemente per rendere più piacevole la visione, ma Johnny Depp a un certo punto non fa più ridere. Doveva darsi un contengo, una misura. Insomma, evitare di svenire così tante volte, per esempio. Bravo è bravo, ma dovevano prendersi tutti più sul serio. Senza questo, sarebbe stato perfetto.
VOTO: 8
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