L’anno scorso, di questi tempi, cominciava a imperversare nelle migliori radio di casa nostra una canzone dal titolo Take Me To Church. L’avrete sentita tutti, magari con video annesso. Bella canzone, non c’è che dire, solo che a me non faceva sentire quel particolare trasporto, quel brivido lungo la schiena, ed è probabile che sia stato l’unico al mondo, considerato il successo che ha avuto. Però a mia discolpa posso dire che avevo avvertito qualcosa, che questo Hozier si era meritato di uscire dalla massa, magari proprio perché quella canzone lì non aveva nulla delle solite hit danzerecce o strappalacrime che si sentono di solito.
Perciò, eccomi ad ascoltarne l’album omonimo. La farò breve: per essere un debutto, è eccezionale. E se non fosse un debutto, sarebbe sensazionale lo stesso. Se vi piacciono le ballate intense, le dolci note di una chitarra dell’acoustic rock più delicato, la voce soul di un cantante che sa far incontrare il folk a metà strada con il gospel, allora questo è l’album per voi. Hozier sa essere struggente senza essere straziante, per cui alla fine ti lascia senza neanche il magone. L’unico neo è che alla fine tende ad essere alquanto monocorde, difetto che si sarebbe potuto evitare con un paio di brani in meno. In una sola parola, è un album profondo.
VOTO: 9
Sempre l’anno scorso di questi stessi tempi, stavamo per impazzire al suono di Uptown Funk, di quel brav’uomo di Mark Ronson (ma con l’impronta canterina di Bruno Mars). Quante ne escono di canzoni così, in un anno? Due, tre, forse neanche una. Diciamocelo, è strepitosa. Soprattutto perché sembra una canzone d’altri tempi, e allo stesso tempo ha un’energia tutta attuale. Ma l’album è tutta un’altra cosa.
Se un album intitolato Uptown Special viene trainato da un singolo che si chiama Uptown Funk, io mi aspetto di ritrovare quell’aria frizzantina che mi è stata promessa. E invece procede sommessamente, ritrovando senza dubbio delle atmosfere retrò che a me ricordano a tratti certo alternative rock anni 90 o i primi 2000, forse i The Thrills, o Beck, o qualcuno con delle influenze elettroniche, e a tratti, naturalmente, la tradizione funk, ma senza suonare quasi mai come qualcosa di unico, simile solo a se stesso. C’è sicuramente del buono in Daffodils, ma alla fin fine la track migliore resta proprio Uptwon Funk. Ad ogni modo, ho letto recensioni abbastanza positive da parte della critica. Magari ha una sua voce personale questo disco, io non l’ho sentita.
VOTO: 5
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