È sabato sera, e io mi trovo a casa di un’amica. Decidiamo di guardare questo film, Jupiter, che già il nome fa presagire tutto un mondo di fantascienza e viaggi spaziali. Sottotitolo (italiano): Il destino dell’universo. Signori miei, andrò dritto al sodo: non è un’esperienza che rifarei.
Dopo uno smielato preambolo, appare Mila Kunis, la protagonista nata da genitori russi, che per vivere lavora nel ramo delle pulizie. Solo che pulisce i gabinetti vestita come se stesse andando a prendere un caffè con le amiche, e vive in una famiglia di russi in cui, per qualche strana ragione, non si parla in russo. Ma questo è soltanto uno dei dilemmi.
Tempo qualche minuto, e spunta fuori pure Channing Tatum, l’eroe maschile della vicenda che, a detta della mia amica, “se non si spoglia non può fare granché per migliorare il film“. Film che, arrivati a questo punto, già faticavamo enormemente a seguire.
Perché la trama è complicata, raccontata ad un ritmo superaccelerato che rende ancor più difficile seguire, senza contare che pone una serie di interrogativi che non vengono nemmeno risolti tutti. Tipo, che fine facciano alcuni dei personaggi. O perché da qualche parte nell’universo ci sia una famiglia reale che si ritiene padrona del pianeta Terra, quando sulla Terra nessuno immagina nemmeno la loro esistenza. E Mila Kunis, appunto, un bel giorno viene rapita e trascinata in chissà quale galassia lontana, perché tutti la credono la reincarnazione della regina che in virtù della trasmigrazione della sua anima avrebbe qualche diritto al trono, ma rimane tutto parecchio indefinito. E qui arriva il nostro Channing, metà uomo e metà animale, che la mia amica mi prega di scrivere che “non fa che pattinare nell’aria per tutto il tempo“. In Step Up ballava, in Magic Mike ballava e si denudava, di recitare ancora non ne vuol sapere.
I suoi colleghi non fanno di meglio, più a causa dei personaggi che per le loro doti recitative. Tiene testa Eddie Redmayne, nel ruolo meno credibile della sua carriera. Fortuna per lui, ha vinto un Oscar e glielo perdoniamo. Seguono Sean Bean, Terry Gilliam, Douglas Booth e una serie di creature che, più che strizzare l’occhio, direi che sono proprio prese pari pari dall’immaginario fantasy che tutti conosciamo. Jupiter non ha nulla di nuovo, a cominciare dall’intreccio, che potrebbe essere di un film di trent’anni fa. I fratelli Wachowski copiano se stessi facendo muovere i soggetti come in Matrix, scelgono delle interminabili scene d’azione e attingono a piene mani a Star Wars, e imitare Star Wars non è mai un bene.
Ora, io vorrei il numero della Warner Bros., perché qualcuno deve darmi delle spiegazioni. Qualcuno deve dare un senso al mio sabato sera. Oppure, come suggerisce la mia amica, “adesso dobbiamo solo dimenticare“.
VOTO: 2
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