Dai produttori di Romanzo Criminale – La serie e Gomorra – La serie, recita il trailer di Suburra, e nemmeno era stato distribuito il film nelle sale che già sapevamo ne sarebbe stata tratta una serie per Netflix. Sembra che tutto sia stato predisposto fin dal principio per la televisione dove, in effetti, forse può funzionare ancora meglio un prodotto del genere.
Suburra è il tipico esempio di intreccio che sulla carta non ha difetti, ma finisce per essere raccontato male. La trama in sé, e il modo in cui i diversi protagonisti si legano l’uno all’altro, sono ben architettati, in maniera tale da non svelare i tasselli del puzzle che uno alla volta, e disseminando qualche sorpresina qua e là.
Per contro, c’è un certo tipo di narrazione a dir poco millenaristica, come se fossimo lì lì per assistere alla inevitabile fine del mondo. Si va dalla sequenza iniziale, preceduta da un allarmante avviso, sette giorni prima dell’Apocalisse (sì, dice proprio Apocalisse) alla colonna sonora che vuole ad ogni costo appesantire ogni scena, anche laddove non ce n’è alcun bisogno. Passando per la inutile presenza del pontefice dimissionario, una cosa più grande di tutti noi, che conferisce un tono eccessivamente tragico. Che poi, se volete saperlo, alla fine non succede proprio nulla. O almeno, non arriva l’Apocalisse.
Che cosa voleva dirci Sollima, che Roma è corrotta? Che l’Italia è marcia fin dentro il parlamento, che la crisi investe persino i valori morali? Lo sapevamo già, e senza essere dei moralisti.
Perché un film del genere doveva assolutamente essere audace fino in fondo. Non bastano le scene di sesso e la critica alle istituzioni, bisogna avere il coraggio di ammettere che a volte sono proprio i cattivi a trionfare, ed evitare i finali rassicuranti che rimettono tutto a posto. E che, francamente, sono anche noiosamente banali.
Gli attori, da parte loro, si salvano a metà. Non i personaggi, di quelli non discuto, soprattutto considerando la notevole e significativa evoluzione che seguono alcuni di loro in particolare. Mi riferisco proprio agli attori: se da un lato Elio Germano e Pierfrancesco Favino vengono promossi a pieni voti e Giulia Elettra Gorietti se la cava benissimo, Claudio Amendola supera appena la sufficienza, per non parlare di Alessandro Borghi. Non so se fosse un problema di acustica o cosa, ma si faticava a capire qualunque parola uscisse dalla sua bocca. E poi, posso dirlo? Mi dispiace fare la parte del cattivo. Io lo dico, eh. Faceva ridere. Il che, per uno che veste i panni di un boss criminale, non è il massimo.
Ci vorrebbero altri film del genere, in Italia. A patto che, però, riusciamo ad essere più cinici di così.
VOTO: 6
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