The Green Inferno

Prima di arrivare a dire quello che voglio dire, farò un giro in largo, partendo una piccola premessa. Ma vi avverto, fan sfegatati di Eli Roth, del cinema splatter e dei cannibal movies, non credo che sarò particolarmente indulgente. Se qualcuno di voi incappasse per caso in quest’articolo, perdonatemi, almeno stavolta. La premessa, dicevamo, è la seguente: due anni fa The Green Inferno fu presentato al Festival di Toronto, nel mese di settembre. Un festival è sempre una buona vetrina per un film, soprattutto per un horror di richiamo come poteva essere questo. Solo che l’uscita superposticipata prima al 2014, e infine all’anno in corso, ha fatto sì che l’interesse scemasse, che la gente se ne dimenticasse e che chi era realmente curioso di vederlo lo reperisse in altri modi. Motivo per cui, come leggevo su una rivista di cinema, gli incassi non sono stati esaltanti. Diciamo che una distribuzione del genere va condannata a prescindere, altrimenti i festival che esistono a fare se poi i film li facciamo uscire a decenni di distanza. Ma la mia domanda è: The Green Inferno, meritava davvero di più?

Il film comincia che pare di assistere a uno spot pubblicitario per com’è girato: luci, inquadrature, pure gli attori al massimo concorrono a dare l’idea di un filmato amatoriale. Ma a questo ci si abitua in fretta. La protagonista, al secolo Lorenza Izzo, decide di unirsi ad un gruppetto di amici abbraccialberi pronti a partire alla volta del Perù per lanciarsi in una nuova impresa ambientalista. Una di loro afferma di avere paura degli aerei piccoli, perché ha il timore che possano sfracellarsi al suolo. Sfiga, vieni a me. Il leader del branco, alla vista di un giaguaro, dice che è di buon augurio, e questo porta ancora più sfiga. Insomma, che non solo l’aereo, ma la situazione intera stia per precipitare, è abbastanza chiaro. D’altronde, chi abbia visto il trailer sa già che i nostri sventurati eroi finiranno in un villaggio di cannibali.

Cannibali che hanno inspiegabilmente il corpo dipinto di giallo, rosso o nero, presumibilmente a seconda dei ruoli che rivestono nella comunità. Vedremo quale arto brutalmente amputato? Certo. Gole tagliate? Pure. Sangue a fiotti? Naturale. Genialità da paura? Anche no.

The Green Inferno è la copia sputata di Cannibal Holocaust, rispetto al quale è molto meno coraggioso, visto che quelli erano gli anni Ottanta, e nel 2015 si poteva osare decisamente di più. Il film sceglie di puntare tutto sulla violenza fine a se stessa, senza insistere sul senso di alienazione, di devastamento psicologico e di ansia che uno scenario e una situazione del genere avrebbero potuto provocare nello spettatore, e senza i quali tante macabre uccisioni servono a ben poco.

Di tanto in tanto capita qualche momento di pura ilarità fuori luogo, ma che ci vogliamo fare, Eli Roth è un burlone. Avrà pensato di smorzare così la tensione, oltre che inserire nel film una finta satira di carattere antropologico che, comunque, regge poco e interessa ancora meno.

Ma Eli, se proprio non hai nuove idee da proporci, facci almeno provare un po’ di fifa, facci sentire la paura che si prova a starsene in gabbia nell’attesa di essere mangiati da una tribù di indigeni. Cosa? Dici che il disgusto è una sensazione sufficiente? Guarda, se ne sei convinto tu. Io intanto mi vado a vedere Cannibal Holocaust.

VOTO: 3

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