È tutto teso verso il finale. Quando una saga giunge al suo capitolo conclusivo, l’attenzione e l’interesse degli spettatori affezionati sono interamente rivolti alla fine. Già l’ultimo film, in sé, è tutto un unico grande finale, ma è soprattutto la fine vera e propria quella che conta, quella che è deputata a dare un senso all’intera vicenda. Perché quando ci si imbarca in un’avventura durata tre anni e quattro film, ci si aspetta nient’altro che una degna conclusione.
L’ultimo episodio porta con sé questa responsabilità, e Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II non fa eccezione. Da quando lo schermo si riaccende, lì dove avevamo lasciato Katniss e compagnia bella esattamente un anno fa, è tutto un crescendo di eccitazione, angoscia e paura. L’occhio della macchina da presa si stringe sul triangolo tra Katniss, Peeta e Gale, lasciando il dovuto spazio al Presidente Snow che, in quanto bersaglio dei ribelli, deve pur continuare a fare da motore alla storia. Più sacrificati gli interventi dei personaggi tradizionali, che comunque tornano tutti per fare la loro parte, più e meno significativa, da Woody Harrelson a Elizabeth Banks, passando per Stanley Tucci e Willow Shields. Chi poi si fosse affezionato alle new entry del secondo e del terzo capitolo, resterà ancor più soddisfatto e rammaricato insieme per il rilievo garantito a ciascuno di loro.
Si corre anche parecchio, forse più che mai, per cercare di mettersi in salvo, ma soprattutto per affrontare il nemico e chiudere i conti una volta per tutte. I giochi si fanno meno spettacolari e più sofferti, e ad ogni passo che la brigata compie verso la libertà aumenta il rischio di un imprevisto, e con esso il timore di noi spettatori che nel frattempo stiamo a morderci le unghie coi denti per il nervoso (o almeno il sottoscritto).
Coll’avanzare della storia, il dramma prende il sopravvento sul fantasy, gli effetti speciali contano meno dei personaggi (però anche quelli fanno la loro parte). È una trama che non risparmia sorprese, così come non ne risparmia Jennifer Lawrence con la sua Katniss. Non lei, l’attrice, che quanto a bravura non ha più da sorprenderci. E che dire di Donald Sutherland, e di Jena Malone, e Julianne Moore, e Philip Seymour Hoffman, insomma si dovrebbe citarli tutti per rendergli giustizia.
Passo dopo passo, proprio mentre si avvicina al finale, quest’ultimo Hunger Games fa salire il cuore in gola e sfiora l’epico. Ci regala l’inaspettato. E mentre una amara conclusione sta per affacciarsi all’orizzonte, prende nuovamente un’altra direzione e mette finalmente le cose a posto. Lasciando dietro di sé qualche lacrima e una punta di tristezza. È un finale che si poteva fare in tanti altri modi. Ognuno vi dirà la sua, che ci avrebbe visto meglio una cosa piuttosto che un’altra, ma va bene così. I grandi finali non devono necessariamente mettere tutti d’accordo. Però, forse, era proprio questa la conclusione più giusta che ci potessimo aspettare. Da parte mia, non potevo chiedere di meglio.
VOTO: 10
p.s. un paio di imperfezioni le ho notate, ma è tutto talmente bello che è come se non ci fossero.
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