Ho sentito dire che se Leonardo DiCaprio vincerà l’Oscar quest’anno, in un certo senso sarà un’ingiustizia. Perché Revenant – Redivivo non è il suo miglior film, e questa non sarà di certo la sua migliore interpretazione. In parte vero, in parte falso.
Revenant non è fatto per passare alla storia come il più bello o il più celebre lavoro di DiCaprio, ma ci aggiriamo comunque intorno a livelli molto alti. E il merito principale è proprio suo, dell’attore quarantunenne che abbiamo voluto protagonista di una leggenda in cui non vedrà mai la statuetta tra le sue mani, come se poi non si potesse vincere l’Oscar anche a cinquanta o a sessant’anni. Invece stavolta l’Oscar potrebbe andare proprio a lui.
Leonardo ha dovuto tenersi sul viso una barba volutamente incolta per circa un anno, ha dovuto spostarsi per giorni insieme alla troupe alla ricerca della luce perfetta, lavorare per ore al freddo e lottare contro l’ipotermia, simulare due dei più spettacolari combattimenti del cinema degli ultimi anni (cosa non da poco, per quanto sembrano reali) e, a giudicare da quel che si vede, anche perdere parecchio peso. E tutto per prepararsi ad una delle più grandi prove d’attore della sua carriera, dei nostri tempi, forse di sempre.
Gli uomini che s’inoltravano nelle terre più gelide e impervie d’America al principio dell’Ottocento per ricavare pelli e chissà che altro, non se la passavano mica bene, e ancora peggio andava ai nativi americani che capitavano sul loro percorso. Hugh Glass è il cacciatore incaricato di guidare la sua spedizione attraverso quelle zone che nessuno conosce come lui, ma quando la Natura e i suoi stessi compagni si mettono tra lui, la sua famiglia e la sua stessa vita, l’unica cosa da fare è lottare per la sopravvivenza.
Le acque impetuose del Missouri, gli alberi innevati, le aurore e i tramonti che squarciano timidamente i cieli freddi dell’America del Nord (nella realtà è il Canada) si appiccicano addosso a Hugh Glass e diventano la sua sofferenza, il sangue che scorre dalle ferite malamente ricucite, le parole che escono a stento dalla gola dolorante, e la sua speranza. E Hugh Glass è Leonardo DiCaprio, e questo è film è lui, e soltanto lui. È una storia cucitagli interamente addosso, è l’immagine del suo commovente talento e della suggestività delle nuvole che si allontanano o della luce naturale del sole che lo accompagnano nella sua ricerca di vendetta, di ridare voce ad una giustizia che si è dimenticata della sua famiglia.
Il film di Iñárritu si avvicina al The Tree of Life di Terrence Malick quanto a capacità di impatto visivo, e la sua ricerca maniacale della luce o dell’inquadratura perfetta ha dato i suoi frutti. E se Leonardo DiCaprio merita l’Oscar, lo meriterebbe pure Tom Hardy, così credibilmente rozzo, così incredibilmente inumano che non sai se odiarlo o amarlo. Pazienza se il film poteva venir bene pure con una manciata di minuti in meno. Alla fine me ne sono uscito dalla sala sapendo che c’è gente che nel cinema ci mette l’anima.
VOTO: 9
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