Con tutto quello che Steve Jobs ha detto, con tutto ciò che ha fatto, con tutto ciò che su di lui è stato fatto, scritto e riportato, è facilmente comprensibile l’interesse della comunità, scientifica e non, della nostra cultura, dei nostri tempi, nei confronti di una figura che è diventata praticamente mitica. È scomparso soltanto nel 2011, e già ci abbiamo fatto due film.
Quello che francamente non capisco, è come mai l’ultimo di questi due, che s’intitola proprio Steve Jobs, abbia ricevuto così poca pubblicità, nonostante l’opinione unanimemente favorevole della critica. Che poi, anche il plauso dei giornalisti e dei cinematografi esperti doveva essere maggiore. Hanno rischiato di farci perdere l’ultimo lavoro di Danny Boyle, che invece è venuto fuori come un gran film.
Le ragioni potrebbero essere tante. Forse abbiamo parlato tanto del fondatore della Apple che un po’ ce ne siamo stancati, forse non ci siamo ancora ripresi dalla pellicola con Ashton Kutcher, forse siamo così affezionati al papà del Mac che ogni stortura e imprecisione nella trama ci fa balzare dalla sedia.
Allora il rimedio potrebbe essere questo: prendete tutto quello che sapete di Steve Jobs, e fingete di dimenticarlo; poi mettetevi comodi in poltrona, e godetevi il film.
In che modo?
Guardate Michael Fassbender, che si trasforma ancora una volta per vestire i panni, i maglioni e le camicie del più noto inventore dei giorni nostri, mettendoci tutto il dinamismo, l’ironia e il carisma che il ruolo richiedeva.
Ascoltate i dialoghi coraggiosi e appassionanti, i botta e risposta, l’umorismo intelligente, le parolacce, le urla esasperate, che scaraventano il film sui binari di un treno ad alta velocità da cui è praticamente impossibile scendere.
Osservate le piccole invenzioni visive che danno colore alle scene, e il modo in cui i personaggi di Kate Winslet (ah, magnifica come sempre), Jeff Daniels, Seth Rogen, Michael Stuhlbarg prendono vita sullo schermo.
Seguite la macchina da presa che si muove dietro le quinte delle tre presentazioni del 1984, 1988 e 1998, dove il backstage rivela ogni volta, in perfetto stile Birdman, la parte più viva della vita di un uomo e della sua azienda. I dissidi tra colleghi, l’ansia per la conquista del mercato, i problemi di una paternità indesiderata, è tutto lì, nei minuti che precedono l’apertura del sipario su un nuovo modello da offrire al pubblico in delirio. Ma la presentazione vera e propria, quella non la vediamo mai. Del resto, come sono andate le cose lo sappiamo già. Il bello è gettare un’occhio a quel che è successo dove noi non potevamo vedere, ed è tutto così vibrante e delizioso.
VOTO: 10
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