Mi sono sempre chiesto se un’opera come Miseria e nobiltà del 1954 rientri più nell’ambito del cinema o in quello del teatro, e se si possa giudicare alla stregua di qualunque altro film. Non è tanto per la derivazione diretta dall’omonima opera, quanto per la scelta di mantenere un’impostazione che rimanda costantemente ad una messa in scena nel senso più classico, dalla scenografia al dialogo finale con gli attori che si rivolgono direttamente al pubblico.
Una cosa però è certa: Miseria e nobiltà ha contribuito al successo del cinema napoletano e di Totò in un modo tale che sarebbe difficile eguagliarlo, con la sua ricca, ricchissima carrellata di battute memorabili (Vincenzo m’è pat a me, oppure Qui si mangia pane e veleno!), scene indimenticabili (i protagonisti affamati che raccolgono la pasta direttamente con le mani), dialoghi superlativi (la scena dello scrivano e del cliente che gli detta la lettera).
L’intreccio è di quelli tipici del repertorio di Eduardo Scarpetta, a cominciare dai travestimenti che danno luogo ai divertentissimi equivoci a cui è affidata in gran parte la spinta comica, fino allo scioglimento in cui i tormentati rapporti tra i protagonisti si risolvono nel migliore dei modi e ogni cosa torna al suo posto.
Il pretesto che porterà i protagonisti a fingersi dei nobili quando non sono altro che dei poveri indigenti, e tutto per conciliare un matrimonio tra un marchese e una ballerina (che altri non è che un’esordiente Sophia Loren), pur nella sua semplicità non toglie nulla al godimento di una storia che ha il suo punto di forza nella bravura del cast e nelle battute a raffica.
L’avrò visto non so quante volte, e ogni volta rido come la prima. Non c’è niente da fare, Totò resta il più grande attore cinematografico della tradizione napoletana, e Miseria e nobiltà forse è proprio il miglior lavoro di Scarpetta. Se non altro, il più famoso. Giustamente.
VOTO: 10
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