Sei anni sono passati da quando l’Alice di Lewis Carroll approdò l’ultima volta al cinema, in quella scommessa vinta solo a metà che fu Alice in Wonderland: esperienza godibile per la vista, ma narrativamente imperfetta.
Eccoci qui, sei anni dopo, a tentare quantomeno di mantenere il livello raggiunto con l’esperimento precedente. Intanto Tim Burton è passato dal ruolo di regista a quello di produttore, ed è uno dei pochi cambiamenti significativi che si siano registrati tra un film e l’altro. Tra questo film e il libro che dovrebbe esserne d’ispirazione, invece, di cambiamenti ce ne sono stati a bizzeffe.
Alice attraverso lo specchio prende dall’omonimo testo poco più che il titolo, sbarazzandosi di trama, ambientazioni e personaggi. Non che un film debba essere necessariamente il ritratto fedele del libro, sappiamo tutti che cinema e letteratura non sono la stessa cosa; il fatto che il materiale lasciatoci dall’autore sia stato deliberatamente scartato dovrebbe però far pensare che agli sceneggiatori sia venuta in mente un’idea migliore.
L’idea in questione è che il Cappellaio sia diventato più suonato del solito nel momento in cui si è messo in testa che la sua famiglia è ancora viva, e trovarla potrebbe servire a salvare la sua stessa vita. Ma cercare la sua famiglia costringerà Alice a una corsa contro il tempo, ed è proprio il Tempo che dovrà ingannare per tornare indietro negli anni e salvare i parenti del Cappellaio.
Il Tempo rappresenta l’unica new entry nel cast che già conosciamo, affidato ad un Sacha Baron Cohen che dopo un po’ non diverte più e che, purtroppo, non può reggere su di sé tutto il peso della fame di novità di noi spettatori. Il suo castello, i suoi buffi assistenti e la sfera che permette di viaggiare nel tempo si scontrano con una Regina Rossa intenta a spodestare la sorella dal trono e tutto quanto abbiamo già visto.
L’effetto della ripetizione fa sembrare Anne Hathaway troppo stucchevole e Helena Bonham Carter troppo poco temibile, il Cappellaio Matto fagocita sempre più spazio a discapito degli altri pur meritevoli personaggi e finisce col diventare noioso, e la trama di questo secondo adattamento si rivela per quello che è, nulla di più di un comunissimo fantasy per bambini. Potete immaginare la delusione.
La storia di Alice non è cosa da essere raccontata con leggerezza: il cartone era riuscito nell’intento perché aveva saputo interpretare la follia che aleggia sul Paese delle Meraviglie e lo spirito dei suoi protagonisti con tutte le loro adorabili imperfezioni, Alice compresa.
Questo è quel che è accaduto sei anni dopo, la magia che era scaturita dal genio di Carroll è diminuita sempre di più fino a scomparire, il senso di un percorso di formazione s’è perso del tutto, e mi è rimasta ancora più forte di prima la sensazione che Mia Wasikowska non fosse adatta al ruolo.
Allora, mi chiedo, non erano meglio gli scacchi, Humpty Dumpty (qui ridotto a un cameo), i fiori parlanti e tutto il resto? Se tanto mi dà tanto, a questo punto non dovremmo avere un sequel. Sarebbe meglio. Chiudiamola qui.
VOTO: 4
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