Una ristretta comitiva di amici che si ritrovano per pranzare insieme è il presupposto di una delle più riuscite trasposizioni cinematografiche di quella classe sociale tutt’altro che uniforme che va sotto il nome di borghesia. Era il 1972, quarant’anni ci separano da Il fascino discreto della borghesia che, nel frattempo, ha dimostrato la capacità di riuscire a non invecchiare come soltanto i classici sanno fare.
Presupposto che diventa appuntamento reiterato fino allo spasimo, coi personaggi che continuano a inseguire un rito che viene solo sfiorato e rimandato per le ragioni più improbabili, mentre celebrano la centralità della tavola come luogo principe delle conversazioni e delle buone maniere della upper middle class.
Sorprendente e capace di virare ad ogni scena verso soluzioni inaspettate, oltre ad essere magnificamente interpretata, questa che viene spesso riconosciuta come una delle pellicole più significative di Luis Buñuel, forse perché mescola un po’ di tutto ciò che gli apparteneva, dal gusto per la provocazione alla breve inquadratura degli scarafaggi, si fa notare sicuramente per l’elemento surrealista, il più difficilmente interpretabile e anche più affascinante di tutto l’insieme.
Il contrasto tra sogno e realtà giunge con forza a stordire la percezione di noi spettatori piuttosto che quella dei protagonisti, che non paiono affatto interrogarsi sull’assurdità di ciò che gli accade né tantomeno sembrano farci caso, loro che fanno buon viso a cattivo gioco per non dissolvere le apparenze su cui si basano i principi del loro mondo, che non sprecano nemmeno un istante a soffermarsi sulle incoerenze in cui sono precipitati per non distogliere l’attenzione dalla routine di cene e aperitivi.
Una manciata di individui tanto affiatati quanto inconsapevoli l’uno dell’altro diventa l’espressione più evidente dell’ipocrisia e della noncuranza di una società che nasconde l’alcolismo per non doversene vergognare pubblicamente, ignora i reciproci tradimenti per non turbare gli equilibri, sorvola la maleducazione occasionale e finge di non essersi data all’illegalità per timore che, se si sollevasse la veste di uomini dabbene, non restierebbe nient’altro che quello.
Fu lo stesso Luis Buñuel a dissentire con l’interpretazione che del suo capolavoro diede la quasi totalità della critica, e magari neanche adesso ci abbiamo capito niente. Sarebbe la sfida più grande che si possa richiedere a un film, quello di sorprendere a ogni nuova visione, e Il fascino discreto della borghesia ha tutta l’aria di poterla vincere.
VOTO: 10
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