John Clayton III, anche noto come Lord Greystoke, vive comodamente nella sua casa agiata di Londra, quando riceve una delegazione del sovrano del Belgio che lo invita ad unirsi ad una spedizione in Congo. Un netto rifiuto, seguito quasi immediatamente da un ripensamento. Tarzan non è più Tarzan, vorrebbe farci credere, ma il richiamo della sua Africa è ancora forte.
L’ultimo film sulle vicende del re della giungla recuperano il ricordo dell’epoca colonialista presente già nei romanzi di Burroughs, tentando però di aggiustare l’angolazione da cui osserviamo i fatti: i trascorsi dell’Europa nel continente nero sono ancora ben visibili nelle torture subite dalla popolazione locale, dipinta stavolta non come barbaricamente inumana, ma come la vera vittima dell’espansionismo. Va a finire che i nativi africani sembrano, però, ancora simili ad uno stereotipo, benché diverse siano le intenzioni, quello di molte altre rappresentazioni precedenti.
Non è l’unica cosa che non funziona in The Legend of Tarzan. Un film il cui protagonista rievochi qualcosa di selvaggio, di primitivo, di imprevisto e di dinamico soltanto a pensarci, non ha quasi nulla di selvaggio, di imprevisto e di dinamico. Si parla molto e si conclude poco, con quei fugaci minuti d’azione relegati a poche scene finali, peraltro prive di energia e di spettacolarità. Persino Tarzan è troppo simile al gentiluomo inglese che vuol farci credere di essere diventato, senza conservare nulla, neanche al suo ritorno in Africa, dell’originaria indole animalesca – lasciando poi stare il fatto che un cambiamento simile nel personaggio non è affatto credibile.
Alexander Skarsgard ha sicuramente una fisicità convincente per interpretare il ruolo (che lascia anche vedere abbastanza, come vuole la parte e per la gioia del pubblico femminile), ma sembra non si sia ancora scrollato di dosso la parte del vampiro di True Blood. Per il resto, nel calderone c’è finito un po’ di tutto, compresi alcuni flashback sulle origini di Tarzan che non si capisce perché ci siano, visto che questo non vuole essere un film sulla nascita dell’uomo-scimmia, né tantomeno si rendeva necessario a livello narrativo. Voglio dire, tutti sanno chi è Tarzan.
Il risultato? Alcuni spunti interessanti, ma quasi tutti lasciati cadere nell’inattività della trama. Gioca senz’altro a suo favore che nel cast ci siano Christoph Waltz in un altro ruolo da cattivo, ma senza il fascino tarantiniano, Margot Robbie nei panni della “pupa di qualcuno” (alias Jane Porter), ma senza la malizia che aveva con Scorsese, e Samuel L. Jackson in un altro film e basta, un po’ pistolero, un po’ paladino della legge, un po’ comedian, che tanto fa di tutto.
Avete presente quella scena del trailer in cui si vedono, al ralenty, Tarzan e un gorilla sospesi a mezz’aria mentre stanno per scontrarsi? Ecco, se il film fosse stato meno cervellotico e più azione, e con effetti speciali migliori, sarebbe stata una bella occasione per riportarlo sullo schermo.
VOTO: 4
Rispondi