Sono passati 15 anni da quando – era il 1999 – Matrix arrivò nelle sale come imponendosi come una rivoluzione, che ti costringe a rifare i conti col passato e ridisegna la strada per il futuro. Proprio così, Matrix ha cambiato per sempre i connotati alla science-fiction. Come già era accaduto con Metropolis, e poi con Blade Runner, ha segnato uno scarto inconfondibile con tutto quanto era venuto prima, e oggi che siamo consapevoli di questi 15 anni, possiamo dire che la sua influenza è stata davvero enorme.
Eppure la storia di Neo, l’eletto che dovrà salvare l’umanità dal dominio delle macchine, è molto simile ad un pasticciaccio. Intelligenze artificiali, arti marziali, invasività della tecnologia, un pizzico di comic movie, una manciata di cultura che arraffa da Nabucodonosor a Lewis Carroll, insomma c’è di tutto. È questa “troppa carne a cuocere” che fa pensare che a momenti la trama sia caotica, che ci siano più cose da assimilare di quanto non vogliamo.
Al tempo stesso, è qui che sta la particolarità. Matrix è volutamente basato su un assetto filosofico imponente per essere un blockbuster – cosa rara – ed è questo maestoso impianto filosofico che ci dice che è un film che va preso sul serio.
È vero, la ribellione delle macchine, la visione di un futuro distopico in cui il genere umano è a rischio estinzione, il confine tra realtà e sogno, sono tutte cose che non inventa Matrix. Nondimeno, si fa carico di un’eredità letteraria e cinematografica che porta all’ennesima potenza. Quale altro film ha espresso altrettanto efficacemente idee così assillanti nella nostra mente? Pochi, senz’altro.
È per questo che alla fine risulta così appassionante, così convincente. Matrix si fa carico delle paure che si affacciavano dentro di noi a cavallo del nuovo millennio: se la vita come la intendiamo noi non esistesse? Se da qualche parte qualcuno controllasse le nostre esistenze facendoci credere di avere libera scelta, ma in realtà non scegliessimo proprio niente? E la presenza di una tecnologia sempre più diffusa, dove mai ci porterà?
A cosa serve, allora, un apparato scenico così vistoso, a cosa serve mescolare la fantascienza all’azione? Semplice. Serve a farcelo piacere ancora di più. Serve a farci osservare l’universo visionario dei Wachowski come se ci fossimo dentro. A farci sperare che Laurence Fishburne abbia ragione, e che Keanu Reeves sia veramente l’eletto. A temere l’inquietante duplicazione di Hugo Weaving. A gasarci per il bullet time. E Carrie-Ann Moss nella scena iniziale è sensazionale. Un po’ troppa azione, forse, per un film che ha delle elevate pretese intellettuali, ma i combattimenti – tutti, indiscriminatamente – sono indubbiamente impressionanti.
Con un’estetica così, è facile capire perché, ci piaccia o no, se ne rimane comunque affascinati.
VOTO: 8
Rispondi