Robert Langdon, professore esperto di simbologia e non solo, si ritrova in un letto d’ospedale senza sapere come ci è finito. Arrivano i carabinieri per interrogarlo su un presunto incidente, ma non sono veri carabinieri. Qualcuno vuole ucciderlo, e scappa con l’aiuto di una dottoressa. Da lì in poi, avrà a che fare con Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, il doge Enrico Dandolo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un bioingegnere psicotico che vuole ridurre la popolazione terrestre, passando da Firenze a Venezia a Istanbul…

Semmai qualcuno dovesse chiedervi di spiegargli di cosa parli Inferno, vi renderete conto di trovarvi di fronte a un’impresa impossibile. Perché il film di Ron Howard, tratto dall’ultimo romanzo di quel furbastro di Dan Brown, ha una trama che dire complicata è poco.
Lo scrittore ha ben pensato di sfruttare il suo eroe e tutto il suo repertorio già consolidato, ed eccoci alle prese con nuovi enigmi, nuovi misteri, nuovi imbarazzanti saccheggi dalle arti italiane. Per timore che non bastasse, ha attinto a piene mani dall’immaginario paranoico-catastrofico più abusato, dai rischi provocati dalla sovrappopolazione a una micidiale pandemia, dalle cospirazioni internazionali ai mercenari senza scrupoli. Insomma, ci ha messo di tutto un po’, secondo il principio del melius abundare quam deficere. Giusto per essere sicuri di fare centro.
Il codice da Vinci aveva un suo perché, condivisibile o meno. Angeli e demoni, forse. Con Inferno siamo ai limiti della presa per i fondelli. Ron Howard (o Dan Brown, non saprei) ci offre una storia costruita sulla faciloneria, come se noi ci bevessimo tutto. Italiani che urlano, gesticolano e di cognome fanno Busoni e Marconi, i due protagonisti (Tom Hanks e Felicity Jones, davvero sprecati) che riescono a entrare persino nei luoghi chiusi al

pubblico senza che nessuno se ne accorga mai, il capo dell’OMS che ingaggia una lotta corpo a corpo con i terroristi (e la polizia dov’è?). Ma ti prego.
L’errore più grave è stato quello di voler inserire per forza degli indovinelli da risolvere. Come se il fulcro della storia non fosse un potentissimo virus che rischia di dimezzare la popolazione del nostro pianeta. La presenza del povero Dante e compagnia bella non è altro che una forzatura, che di fatto non convince per niente. Pare che il romanzo, in realtà, insista di più su tutto l’aspetto artistico e culturale della faccenda, ma questo non cambia le carte in tavola: non c’è motivo per cui un criminale che vuole far scoppiare una bomba debba piazzare degli indizi relativi alla Divina Commedia sulle sue tracce, non c’è motivo per cui il professore debba avere delle visioni dell’inferno dantesco, anzi, non c’è proprio motivo per cui debba esserci in questa storia.
Penso sia chiaro, a questo punto, che non ho letto il libro, e non ho intenzione di farlo. Ron Howard e Dan Brown ci chiedono ancora una volta di prestar fede ad un personaggio già insopportabilmente sapientone, che guarda caso sa sempre tutto di tutto, che corre e salta come un ventenne nonostante sia evidentemente fuori forma e avanti con gli anni, e che sventa pure minacce mondiali fermando i manigoldi con le proprie mani. No, è troppo.
VOTO: 3

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