C’è un momento, in Shrek, in cui la principessa Fiona si sveglia al mattino, vede un uccellino su un albero ed inizia a cantare. Meglio, ingaggiano una vera e propria gara di canto. Peccato che l’uccello non ce la faccia a reggere il confronto, e per l’eccessivo sforzo si gonfia e poi scoppia. Senza perdersi d’animo, lei ne approfitta per mangiarsi le sue uova.
È davvero un attimo, e nemmeno dei più significativi, ma a me pare che dica molto sul film. Vi immaginate se Cenerentola avesse involontariamente schiacciato i topolini, o se Biancaneve avesse cucinato uno dei conigli? Sarebbe stato inappropriato. E comunque non sarebbe mai potuto succedere.
Costruito su uno schema fiabesco tradizionale – una principessa rinchiusa in una torre, un cavaliere che corre a salvarla e un matrimonio per coronare il vero amore – in realtà, su quello schema, Shrek imposta una satira irriverente, mostrando che non c’è nulla, di quelle fiabe, che non possa essere rovesciato e beffato. Ironia delle ironie, il cavaliere è un orco, l’aspirante re è un codardo e un nanerottolo, e la principessa è un orco ella stessa.
All’inizio degli anni Duemila, Shrek inaugura un nuovo filone cartoonistico che ha poco a che vedere con l’eleganza, la misura e il politically correct dell’animazione classica. I suoi eroi non sono aggraziati, i suoi cattivi non fanno mai paura. In più, oltre a deridere un universo con cui impariamo a familiarizzare da bambini, è assolutamente adatto a grandi e piccoli. Se parlasse esclusivamente ai primi, sarebbe un comunissimo cartone per adulti che tratta di cose da adulti.
A questo punto, magari dovremmo prendercela. E invece no, si ride di gusto. Vedere i personaggi che si mettono in ridicolo, da Pinocchio a Robin Hood, è divertente, e quell’asino parlante di Ciuchino, poi, è la migliore spalla comica che si possa desiderare. E il bello della saga deve ancora arrivare. A quel punto, tutto quel che conoscevamo di favole e fiabe può andare a farsi benedire.
VOTO: 10
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