Tre donne unite da un comune denominatore, che ignorano quanto stiano per diventare vicine. Una sola, Rachel, che ogni giorno osserva fuori dal finestrino, mentre passa in treno davanti alle loro abitazioni, e prova a immaginare ciò che non può (ancora) vedere. Poi, un omicidio.
Con questi e altri numeri, La ragazza del treno, già forte del successo editoriale del romanzo di Paula Hawkins, sulla carta dovrebbe funzionare bene anche al cinema, e riuscire quantomeno a catturare il consenso del grande pubblico senza troppi problemi. Possiede, infatti, il principale requisito che in un thriller non può mancare mai: la capacità di instillare un dubbio costante.

Non soltanto un omicidio insinua l’interrogativo sull’identità del suo artefice, ma persino l’assassinio in sé, all’inizio, non è del tutto evidente, come non è chiaro fin da subito se in effetti un omicidio c’è stato. Con questo continuo portarci a chiedere chi è stato? cos’è successo realmente?, i colpi di scena si susseguono a raffica.
Meno facile, però, è riuscire a dare a quella sorpresa il giusto impatto. La tensione prevista dall’impianto thrilleristico è regolarmente spezzata da intermezzi angosciosi che confondono i generi e disorientano lo spettatore, senza che poi siano oggetto di approfondimento ulteriore.
La performance di Emily Blunt è prevedibilmente convincente, nei panni di un’assidua bevitrice a cui l’alcol ha strappato brandelli di ricordi. Ma è chiaro che siamo di fronte a dei personaggi con storie complesse e psicologie sfuggenti, che il film di Tate Taylor si sforza di rendere al massimo senza riuscirci appieno, vuoi per vizi di sceneggiatura, vuoi per difetti di recitazione.
Il risultato finale si avvicina alla sufficienza, da cui lo allontana anche la deludente soluzione dell’indagine. Poteva valere di più, ma sembra che sia improbabile che ci ricorderemo di questo film quando il 2016 sarà finito.
VOTO: 6
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