Inquietante o attraente: Sausage Party e The Neon Demon

La Melevisione, quel meraviglioso contenitore di cartoni animati per bambini, quand’ero piccolo io ne comprendeva uno con protagonisti alcuni oggetti antropomorfi. Si chiamava Les Babalous. Erano comunissimi oggetti domestici che si animavano soltanto di notte. Già allora mi sembrava particolarmente densa di conseguenze per la mia immaginazione di bambino un’idea del genere. Dare vita a cose che per il loro statuto di cosa (appunto) una vita non dovrebbero averla significava che, nelle mie mani, qualunque cosa potesse diventare un gioco. Al tempo stesso, però, avvertivo tutta la fragilità di un manufatto destinato alla consunzione. C’era anche una matita, tra i personaggi, e allora mi chiedevo: Les Babalous«Come fa a non consumarsi, a restare sempre uguale?», e così mi aspettavo, da un giorno all’altro, un episodio in cui la povera matita si fosse spezzata o esaurita per sempre.

Ora, in un cartone destinato ai bambini, una roba del genere chiaramente non sarebbe mai accaduta. Mettiamo il caso, però, che ci fosse questa possibilità. Sarebbe l’apoteosi del fascino di cui gode questa particolare categoria di oggetti. C’è qualcosa di attraente e di inquietante insieme nelle cose che non dovrebbero muoversi, parlare, vivere, eppure lo fanno. E c’è qualcosa di altrettanto attraente e inquietante nel vederle deperire nei modi in cui la loro natura suggerisce.

Elevare i cibi che consumiamo regolarmente allo status di personaggi animati ha quel qualcosa di tremendo di cui sto parlando. Un po’ come in quei brevi filmati della serie The Annoying Orange che circolavano su YouTube qualche anno fa, in cui due frutti interagivano tra di loro prima che uno fosse fatto a fettine con un coltello o schiacchiato in un frullatore. Macabro e irresistibile insieme. Sausage Party si colloca esattamente sulla soglia di questo incontro tra il comico e il raccapricciante, il penoso e il liberatorio, con gli “abitanti” di un gigantesco supermercato d’oltreoceano a far da protagonisti: tutto quanto si trovi sugli scaffali prende vita, che si tratti di verdure o di alimenti racchiusi in barattolo, o di prodotti che non siano affatto commestibili. Solo che quando si tratta di Sausage Partyalimenti entriamo in un territorio alquanto preoccupante. Perché il rischio è di finire come ci si aspetta che finiscano: mangiati.

Peccato che loro non abbiano la benché minima idea che si trovino lì per soddisfare i bisogni nutritivi degli esseri umani. Ovviamente, noi facciamo tutto il tifo per loro, perché si salvino dai denti e dagli stomaci che non vedono l’ora di sgranocchiarli e di assaporarli, eppure una delle scene più eccitanti è proprio quella in cui due carrelli si scontrano e il “contenuto” rovina brutalmente al suolo. Dalla prospettiva del cibo, somiglia ad uno sbarco in Normandia. Ancor più quando scoprono la vera ragione per cui vengono selezionati. Pelati, tagliati, masticati, stappati, un vero e proprio massacro. Sanguinario a suo modo, ma divertente.

Sausage PartySpecie quando sono le stesse merci del supermercato a farsi fuori tra di loro, bevendosi o mangiandosi in rari episodi di similcannibalismo. Sausage Party ha un sottotesto dark che emerge più gustosamente e meno prepotentemente della sua vena comica, costituita in larga parte dalle sfrenate allusioni sessuali. Vale la pena di dire che il protagonista è una salsiccia innamorata di un panino da hot dog. Immaginate come potrebbero congiungersi? L’orgia in cui si abbandonano alla fine è la ciliegina sulla torta di un cartone irriverente che sarebbe stato oltremodo disturbante, se non si fosse tuffato in una comicità dirompente, che funziona meglio nelle sue sporadiche allusioni geopolitiche che non nella lettura metacinematografica.

Prendete la scena della lavanda vaginale e del succo di frutta: la prima, accidentalmente danneggiata, si nutre del secondo da un cartoncino moribondo (che reca curiosamente impressa la scritta juiced up, nella doppia accezione di ravvivare, e di estrarre il succo da un frutto, e quindi svuotare). L’atto in sé, preso per quello che apparentemente è, ripropone la soddisfazione che si prova nello schiacciare un cartoncino del genere mentre si beve per godere anche dell’ultima goccia; i gesti, la violenza con cui sono espressi, e persino il linguaggio adoperato assomigliano a quelli di uno stupro. Di nuovo, appagante e sconvolgente insieme.

The Neon DemonIn un certo senso, è la stessa accoppiata di sensazioni contraddittorie che richiama un film completamente diverso come The Neon Demon. Da cineasta meticoloso che distribuisce ad arte gli elementi che compongono l’inquadratura, Nicolas Winding Refn espone i corpi delle modelle del film allo sguardo dello spettatore mentre le spoglia, le scruta, ne indaga la fisicità e le sospende in uno stato di ibernazione in cui i gesti sono interrotti. La seconda parte, in cui si succede una serie di eventi inequivocabilmente disgustosi – la necrofilia, l’omicidio, il cannibalismo – è la metafora, nemmento tanto occultata, di un mondo votato all’estetica e all’ossessione per la bellezza e la giovinezza, spesso intese l’una come sinonimo dell’altra. Ma è un mondo marcio e pericoloso, in cui sembra impossibile essere belli sia fuori che dentro, in cui la bellezza artefatta non digerisce quella naturale, ma a volta può essere quest’ultima a soccombere.

Winding Refn dimostra di essere altrettanto assillato dall’estetica che finisce per privilegiare la composizione visiva a discapito della trama. Se le sequenze che hanno fatto accostare questo film all’horror ne costituiscono la parte migliore e rappresentano persino un’evoluzione inevitabile e necessaria, purtroppo arrivano dopo estenuanti minuti di digressioni di cui avremmo fatto a meno e di immagini che si sforzano di assumere un significato. Che probabilmente, però, non c’è.

Meglio, allora, la mutilazione dei corpi, il bagno di sangue, tutte quelle cose moralmente riprovevoli e visivamente rivoltanti che, però, traducono il progetto di Refn di fare un film sulla bellezza in figure di senso, oltre che emotivamente d’impatto. Robbie Collin del Daily Telegraph ha detto che quando il film approda all’ultima, strabiliante sequenza (un omaggio particolare a Un Chien Andalou di Buñuel), tutto quello che puoi fare è urlare o applaudire. Due reazioni diverse, appunto. E perché non tutte due insieme?

SAUSAGE PARTY: 8

THE NEON DEMON: 5

The Neon Demon

 

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