Lo sapete come vanno queste cose. Quando racconti la storia di una possessione demoniaca, poi finisce che devi raccontarne anche il seguito, e il seguito del seguito, perché i demoni non si lasciano mica scacciare così, con uno schiocco di dita. E, naturalmente, con un po’ di fantasia ci si può mettere a immaginare anche gli antefatti, e l’introduzione agli antefatti, e via dicendo, finché non si è spremuto abbastanza il franchise che, nel nostro caso, ha il nome di Annabelle.
Quarto film dell’universo nato e cresciuto intorno alla bambola eponima, Annabelle 2: Creation segna quota due nella lista dei lungometraggi diretti da David F. Sandberg, dopo l’interessante (ma non del tutto riuscito) Lights Out. Rimane alla sceneggiatura Gary Dauberman – da tenere d’occhio: suoi anche i copioni dei prossimi It e The Nun – al quale spetta probabilmente il compito più difficile: rivoltare dall’interno un filone e un personaggio tendenti alla staticità. Sembrerà una metafora, considerando il soggetto di cui parliamo, ma non lo è.
I film sulle bambole indemoniate finiscono inevitabilmente con l’incedere sempre più stancamente e prevedibilmente, in conseguenza anche del non trascurabile effetto abitudine: fotogramma dopo fotogramma, il giocattolo perde il suo potenziale spaventoso. Ma quest’Annabelle no, intuisce il rischio e gioca d’astuzia. Sandberg e Dauberman – o chi per loro – lasciano che la bambola stia in secondo piano per non rovinare l’ansia provocata dalle sue apparizioni, e spostano l’attenzione sulla costruzione dell’atmosfera e dell’attesa negli spettatori. Di fatto, verrebbe da dire che questo non è soltanto un film horror, ma è anche un thriller sovrannaturale, di quelli buoni.
Messi da parte lo splatter e gli jumpscare gratuiti, il secondo Annabelle privilegia la dimensione del racconto e ci regala personaggi che una volta tanto non sono delle semplici sagome. Pesa purtroppo sull’esito finale il fatto che il team creativo si ritrovi, dopotutto, a maneggiare un immaginario già saturo, già visto: nulla ci è risparmiato, dalla casa infestata e isolata all’irriducibile predominio dell’elemento religioso, dai tremendi infanti defunti ai bambini che comprendono il pericolo sempre prima degli adulti testardi. Nè tantomeno giova qualche inciampo nel ritmo della narrazione, aggravato dalla impacciata gestione della difficile figura della madre (ma era necessario che ci spiegasse anche quel che sapevamo fin dall’inizio?). D’altro canto, le affascinanti analogie visive che puntano sull’anticipazione fanno presa quanto il tentativo di riunire il finale con l’incipit del capitolo precedente; un tentativo che ha del lodevole oltre che del sorprendente, e a conti fatti lo scioglimento si rivela meno scontato di quanto si potesse supporre.
VOTO: 7
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