Avere trent’anni e dover uscire il sabato sera

C’è una domanda che attendo puntuale ogni sabato sera come un condannato a morte attende la mannaia del boia sul proprio collo mentre s’avvia al patibolo: come se il mondo stesse per finire lì. E con la stessa sensazione di disperata rassegnazione: sai che accadrà, sai che non potrai fare nulla per evitarlo, eppure continui a sperare che qualcosa possa impedirlo. Qualunque cosa, fosse anche un disastro (che tanto in queli momenti nella mia mente non può esistere nulla di più disastroso).

Sto parlando del momento in cui mia madre mi chiede – “che cosa fai stasera?” – e io c’ho sempre la sensazione di deluderla. Perché il sabato sera per me è una sorta di capodanno in dimensioni tascabili. Cioè una di quelle occasioni in cui ci si aspetta da te che tu esca, che ti circondi di gente e che ovviamente, chevelodicoaffà, ti diverta pure. Il capodanno è un metro di giudizio della tua vita sociale e spirituale: se non festeggi vuol dire che sei solo, e se sei solo sei una persona triste. Ecco, il sabato sera si ripropone per me all’incirca lo stesso dramma: che non è – attenzione – il dilemma amletiano delle due opzioni contrapposte, uscire o non uscire, ma è quello della considerazione sociale. Il sabato sera io mi gioco la reputazione.

Negli occhi di mia madre, vedo tutta l’afflizione dell’avere un figlio che desideri soltanto spiaggiarsi sotto le coperte con un film da guardare. È che io alla favola del sabato sera non ci credo più. Quella che mi raccontavano da bambino, in cui il sabato era il giorno di festa per eccellenza. Quando sono arrivato all’università ho scoperto che non dovevo aspettare per forza il sesto giorno della settimana per uscire la sera. Anzi, che non dovevo neanche per forza uscire la sera. Che potevo farlo in qualunque altro giorno e in qualunque altro momento. Da lì in poi ho scoperto che al cinema il lunedì paghi il biglietto ridotto, che le spiagge sono meno affollate al di fuori del weekend e che gli altri giorni puoi andare al ristorante evitandoti la fila. A volte m’è capitato persino di aver trascorso fuori l’intera settimana, che il sabato poi non desideravo altro che starmene a casa e riposare.

In più, vi dirò, a me le feste comandate stanno pure un po’ sul cazzo. Qualunque circostanza in cui si suppone che tu faccia qualcosa – che di solito è qualcosa di già prescritto – a me fanno venire voglia di fare l’opposto. Sarà un problema mio, d’accordo, ma trovo più gusto a uscire, che so, il martedì, piuttosto che il sabato. Invece no, se hai una madre come la mia non devi, non puoi. Io lo so che ogni sabato risuonerà implacabile la sua domanda – “che fai stasera?” – e che inesorabilmente le si spezzerà il cuore a sentirmi dire – “niente” – quando quel niente è tutto ciò che avevo in programma.

Il fatto è che io stesso non mi ci sono rassegnato. Che quell’ansia sociale lì, la avverto ancora. Quell’implicito dovere di dimostrare che non sono triste, non sono solo, e di dover rassicurare il mondo intero che sto bene eh, adesso sta per partirmi un film su Netflix ma domani giuro che mi riprendo, che uscirò e sarà tutto finito. Mia madre s’interroga sul mio sabato sera come le zie che ti domandano a Natale quand’è che ti laurei e ti sposi, o come quegli impiccioni che chiedono alle donne come mai non hanno ancora figli. Io lo so che non c’è nulla di male in tutto questo, che una donna ha pure il diritto di non procreare e che nella vita esistono delle alternative al matrimonio, così come io rivendico la mia libertà di mangiarmi una pizza a casa il sabato sera, magari sul letto, davanti alla tv. Ma il fatto è che un po’ avverto anche il senso di colpa. La necessità di dovermi non dico giustificare, ma difendere sì.

Eppure ho trent’anni, mi dico, e anche qualcosina in più. Ormai la consuetudine sociale di riversarsi in strada il sabato sera dovrebbe essere acqua passata per me. Come pure la convinzione che a trent’anni, se non sei sposato con prole, non hai scuse a rinunciare al sabato sera. Lo so, lo so, sono perfettamente consapevole di tutto questo. Ognuno è libero di fare quel cazzo che gli pare. Però il sabato mi instilla la stessa incertezza del capodanno: posso scegliere di fare qualunque cosa io voglia, ma alcune di queste cose saranno socialmente inadeguate. Che cosa fai a capodanno? Niente. Che cosa fai stasera? Niente. Voi lo sapete come lo so io che in qualche modo risposte del genere ci spingono sempre a dare delle spiegazioni. L’unico modo che conosca finora per sopravvivere è quello di trattenere il fiato e aspettare che passi la tormenta, e nel frattempo godersi quel lasso di tempo che vi separa fino al prossimo capodanno, o al prossimo sabato sera, e sperare che a quel giro non dovremo aggiungere nient’altro per scusarci.

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