Nessun altro posto in cui vorrei stare

Questa settimana mi sono ritrovato a parlare della mia (breve) esperienza lavorativa a dei ragazzi che frequentano il mio stesso corso di studi. Mi ero preparato qualche parola da dire, anche se poi, come spesso succede in queste occasioni, le cose vanno un po’ da sé.

Più che qualche parola, in realtà, avevo scelto degli argomenti intorno ai quali sviluppare la conversazione. Da dove sono partito, dove sono arrivato, che cosa faccia un assistente alla regia. Quest’ultima, in pratica, è la domanda più tediosa a cui mi trovo a dover rispondere ogni volta.

L’assistente alla regia non ha necessariamente a che fare col regista, come il nome farebbe pensare. Soprattutto, svolge uno di quei lavori che è difficilmente valutabile. Dello scenografo, per esempio, o del costumista si può facilmente ammirare il lavoro sullo schermo. Lo puoi studiare, osservare, quantificare. Il mio no. E soprattutto, non siamo tutti uguali: se sei il terzo assistente alla regia non saprai che cosa sta facendo il primo. Questo perché a ogni grado corrispondono le sue mansioni.

A ogni modo, mi ero comunque preparato all’eventualità che mi facessero questa domanda. Quello che invece non mi aspettavo è che mi chiedessero come fare a non mollare la corda. Come fare quando il lavoro manca, quando sembra che nessuno ti chiamerà mai, quando il tempo passa e cominci a temere di aver fallito. Non me lo aspettavo perché quando c’ero io dall’altra parte, quand’ero studente, non mi ero posto questa domanda. Forse perché, ingenuamente, non credevo che sarebbe stato così difficile entrare in questo mondo e riuscire poi a rimanerci.

Gli ho detto che questo timore non se ne va, almeno non così presto. Che anche quelli che lavorano da più tempo di me e in ruoli più importanti del mio attraversano periodi di incertezze e di stasi. Che il mio consiglio è quello di provare a trasformare questi periodi in opportunità: scrivere, realizzare qualcosa di nostro, dedicarsi ad attività per cui di solito non abbiamo tempo, scoprire un nuovo hobby.

Non so se questa mia risposta li abbia rincuorati, ma qualcosa, invece, ha rincuorato me. Il loro docente di sceneggiatura – un uomo sulla cinquantina e con un curriculum più esteso del mio – gli ha detto che queste crisi non vanno mai via del tutto. Anzi, sono sempre dietro l’angolo ad aspettarci. La strada migliore da percorrere è quella di rendersi produttivi, di uscire da questi momenti con qualcosa tra le mani, con qualche nuova esperienza, più ricchi di prima. Soprattutto, però, imparare a farci i conti: perché se hai scelto di stare qua – dalla parte sua, dalla parte mia, dalla parte degli studenti appena più piccoli di me che ci ascoltavano – vuol dire che non c’è un altro posto in cui potresti stare.

Che per quanto tutti desideriamo le certezze di un lavoro fisso, alcuni di noi sentono che c’è una sola vita possibile. Che per quanto certe volte farai fatica a pagarti l’affitto, quello è l’unico modo che conosci per esprimerti. Che il tuo lavoro potrebbe non renderti ricco, ma nemmeno tanto benestante, e comunque te lo sei scelto tu, e non sapresti immaginarti diversamente. Se senti tutto questo, allora fai bene a provare a resistere. Alla fine i momenti in cui penserai di avercela fatta varranno molto di più di tutti quelli di incertezza.

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