Trame di una tela che si intrecciano, ciocche di capelli che si intrecciano, rami degli alberi che si intrecciano: per un essere un film che parla di predestinazione, The Northman usa non pochi riferimenti visivi al riguardo.
Bisognerebbe avere più cultura e conoscenza della mia sulla mitologia norrena e scandinava per cogliere tutte le citazioni ed essere in grado di parlarne adeguatamente – o quanto meno per non fare grossolani errori sulle dentature dei vichinghi. La storia di Amleto, però (o Amleth, come nel film), la conosciamo tutti. Insomma, la storia del bambino il cui padre viene assassinato dal di lui fratello e che promette perciò di vendicarlo e di rifarsi contro lo zio. Chiunque avrà sentito parlare del dramma di Shakespeare, in un modo o nell’altro. E se non la conoscete, non avete mai visto I Simpson?
Certo è che non bisogna avere un bagaglio ingombrante per riuscire ad apprezzare il film. Robert Eggers è uno dei nuovi maestri del cinema, degno compagno di Ari Aster, con una visione più compiuta di quella di Nicolas Winding Refn. Le sue inquadrature sono dei dipinti. The Northman si compone per quadri. E questo perché Eggers ha un personalissimo senso dell’estetica e sa che il cinema è prima di tutto un’arte visiva.
Senza dimenticare la narrazione, ovviamente. Con un gusto per la suspense e una propensione per la resa dei conti violenta, Eggers attinge al cinema di genere e lo reinventa. Nella fattispecie, The Northman è praticamente un fantasy. Non di quelli a cui la nostra mente corre più facilmente, dei blockbuster dai grandi numeri al box office, ma di quelli sulle antiche leggende e sui cicli letterari d’Europa degli albori, più simile a Sir Gawain e il Cavaliere Verde o a un film sulla corte di Re Artù che a Harry Potter. Anzi, si potrebbe dire che s’inserisce anche nel sottogenere dei film sui vichinghi di cui ormai ce n’è un buon numero.
The Northman è un film epico, per appartenenza e per grandezza. Robert Eggers riconferma il suo stile e lo porta a un nuovo livello di consapevolezza, così come ritrova Anya Taylor-Joy e Willem Dafoe aggiungendo nuovi preziosi tasselli alla loro filmografia, scrittura una Nicole Kidman che per una volta non è costretta a fare l’eroina, più un gruppo di altri interpreti non per forza conosciuti ma perfetti nei loro ruoli, e regala ad Alexander Skarsgård la sua prima grande prova d’attore. Sono sicuro che lo stia ringraziando. Io lo farei. Perlomeno lo ringrazio per questo film che è già un cult, arriverà senza troppe difficoltà a farsi eleggere uno dei migliori titoli dell’anno, e speriamo anche oltre.

VOTO: 9
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