Il tetto

Non è il miglior film di Vittorio De Sica, e non è neppure dei più famosi, ma Il tetto è comunque un buon film. E lo dico per tutti quelli che, come me, temono che non essendo uno dei suoi prodotti migliori o più famosi, magari non ne valga la pena.

Il titolo nasce dalla vicenda dei due protagonisti, la cameriera Luisa e il muratore Natale, sposi in giovane età che non hanno i soldi per permettersi una casa tutta per loro. Le insostenibili difficoltà generate da una convivenza forzata con la di lui famiglia, li costringono a cercar nuova dimora, ma dopo tanto vagare, l’unica soluzione si rivela quella di costruirsi la casa da sé. Bastano pochi metri, lo spazio per metterci un letto e un angolo per cucinare, purché la costruzione sia ultimata in una notte: la legge prevede che le case abitate, anche se abusive, non possano essere sfollate se provviste di tetto.

L’aspetto più interessante, oggi che sono trascorsi quasi sessant’anni dalla realizzazione del film, sono le immagini di un’Italia, quella di questa periferia romana, che paiono appartenere a chissà quale epoca lontanissima, e perciò sono tanto più affascinanti. Le donne del quartiere in fila alla fontana, secchi alla mano, per portare l’acqua alle loro case, le biciclette come unico mezzo per muoversi da una parte all’altra, e soprattutto intere famiglie stipate in appartamenti di due o tre stanze, costretti a dividersi i letti, il cibo e la povertà (ma questo potrebbe ancora esistere da qualche parte, magari non a Roma, e magari non in queste dimensioni).

Vittorio De Sica è stato uno dei grandi padri del neorealismo, e produce questo film quando il neorealismo ormai già era acqua passata. In effetti, sembri manchi qualcosa di quel filone, che potrebbe essere una punta di disperazione, di pateticità in più, che non ci sarebbe stata male: per tutta la durata si avverte il senso di una corsa contro il tempo, di una lotta contro ogni probabile imprevisto, dai sopralluoghi della polizia alla mancanza di un terreno edificabile, che potrebbe vanificare le speranze della giovane coppia. De Sica sceglie di ridargliela la speranza, liberandosi della prospettiva pessimista di Ladri di biciclette.

Per uno che abbia formato i propri gusti sul cinema degli anni Novanta e Duemila, la colonna sonora risulta irritante per quanto è eccessivamente melodrammatica, mentre la scelta di prendere attori sconosciuti e inesperti non sempre si rivela felice, soprattutto per le i ruoli secondari (che non per questo devono essere male interpretati), ma con l’eccezione, per fortuna, dei due protagonisti, Giorgio Listuzzi e Gabriella Pallotta.

VOTO: 7

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