Poniamo una questione. Mettiamo il caso che vi trasferiate in una nuova abitazione, e che dopo aver dato un’occhiata in giro decidiate di sbarazzarvi della roba degli inquilini precedenti e, perché no, di buttare giù qualche parete. Insomma di rimettere a nuovo la casa. Dopotutto, l’avete comprata per voi e la vostra famiglia, e questo vi dà il diritto di farci quel che volete. Proviamo però ad immaginare cosa succede dall’altra parte. Cosa ne pensano quelli che ci vivevano prima di voi, voglio dire. Sì, certo, sono morti, ma come glielo spiegate che hanno perso il diritto di dire la loro?
Nel 1988, alla sua seconda prova da regista, Tim Burton assolda due giovani star in ascesa con tutta la vita davanti, Alec Baldwin e Geena Davis, per portarci nel mondo degli spiriti e delle case infestate e guardare le cose con gli occhi di chi sta dall’altra parte. Burtoniani sono l’atmosfera surreale e la scelta della provincia americana come ambientazione, nonché – e soprattutto – il gusto per tutto ciò che è comunemente orrido, la maestria nel donare colore a ciò che di solito non lo ha, e la predilezione per gli outsider e il loro modo di porsi nel mondo.
Sono proprio gli outsider le vere attrazioni di Beetlejuice, persino più emarginati di due fantasmi che tentano senza successo di infestare la villa in cui sono segregati: una Winona Ryder nemmeno diciottenne, ma già irresistibilmente adorabile da una parte, e un Michael Keaton talmente bravo in un ruolo di secondo piano – benché sia suo il personaggio che dà il nome al film – da rubare la scena a tutti gli altri.
Tim Burton riesce ad inventarsi un curiosissimo universo in cui i fantasmi non devono fare paura per forza, e unisce gag che sembrano fatte per mantenere intatta la loro forza nel tempo a particolari che rivelano una genialità fuori dal comune. Un manuale che faccia da guida ai defunti dopo la morte. Spiriti di coloro che sono morti suicidi costretti a lavorare come impiegati nell’aldilà. Una burocrazia lenta e inefficace che scimmiotta quella del mondo dei vivi.
Rovina l’estetica complessiva dell’opera la scelta di servirsi di effetti speciali primordiali per l’epoca, come per il gigantesco serpente delle sabbie. Poca cosa, comunque, rispetto al resto. Personalmente, chi s’impegna a sconvolgere i canoni tradizionali e a sovvertire le categorie in cui siamo abituati a far rientrare ciò che conosciamo o non conosciamo, mi piace molto. In più trovo orribilmente ripugnante lo spiritello porcello di Beetlejuice/Michael Keaton che sono convinto si tratti di un personaggio senza tempo. E a giudicare dal successo del film, non credo di sbagliarmi.
VOTO: 9
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