Chi non conosce l’allegria travolgente de Il re fasullo d’Inghilterra, non sa cosa si perde. È una delle canzoni che fanno parte della colonna sonora di Robin Hood, pellicola d’animazione del 1973, l’epoca in cui la Disney s’avviava pian piano verso il suo Medioevo.
È indubbio, in effetti, che al film manchi qualcosa rispetto ai classici che l’hanno preceduto, il che, però, non si traduce necessariamente in un difetto. Più che altro, si potrebbe parlare di differenze, dal momento che, se qualcosa si perde, qualcos’altro si aggiunge.
Manca, per esempio, una protagonista femminile di rilievo. Manca la regalità, nel senso di figure legate al mondo incantato dell’aristocrazia. Manca la magia, quella delle fate, dei maghi e delle bacchette sventolate in aria. Non c’è un cattivo vero che incuta timore, non c’è uno sguardo diretto sull’infanzia e sui problemi legati alla crescita e alla ricerca di un’identità, e non c’è alcun riferimento a dei complicati rapporti familiari (se non un lieve ammiccamento, comunque in chiave ironica).
I classici Disney più famosi degli anni addietro contenevano almeno uno, quando non anche più di uno, di questi elementi. Cosa c’è, allora, che rende Robin Hood così irresistibilmente divertente?
La storia è sempre quella del leggendario ladro che ruba ai ricchi per dare ai poveri, abile arciere innamorato dell’angelicata Lady Marian, solo che stavolta i personaggi son tutti animali. Difficile stabilire quale sia il più riuscito, considerata la facilità con cui stimolano il riso e s’imprimono nella memoria, specialmente quelli “di contorno”, dall’energica Lady Cocca al coniglio Saetta fino a Cantagallo. Ma sono i due antagonisti a contendere il trono di entertainer migliore in assoluto.
Nessun tirannico circense, nessuna strega risentita, né una pomposa regina irascibile: i cattivi qui non fanno paura, ma fanno ridere come e più degli altri, comicamente ridicoli nelle loro pretese di potere e nelle loro schermaglie tra re e consigliere, che si uniscono al generale coro d’ilarità che domina l’intera atmosfera.
Non è intenzione del film quella di darsi toni seri qua e là o di avvalersi di intenti didattici, sebbene appaia abbastanza chiara la distinzione tra bene e male. È intrattenimento allo stato puro, che nulla ha da invidiare alle commedie caotiche e demenziali più celebri. In questo senso, la scena del torneo di tiro con l’arco con conseguente baraonda per acciuffare Robin è da piegarsi in due.
Quando la visione è finita, si ha voglia di ritornare indietro ai bellissimi titoli di testa, per rivedere i protagonisti ballare nella foresta ancora una volta. E si rimane con una canzoncina che continua a fischiettare nella testa, e con un senso di splendida allegria.
VOTO: 10
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