Giacche con le frange, stivali, occhiali a goccia, pantaloni a zampa d’elefante, donne con la permanente e uomini coi baffoni e in calzoncini fin troppo corti per i gusti di oggi. E poi la discomusic, la Oldsmobile 442 e il mantra sesso droga e rock and roll. C’è qualcosa nei miti e nelle mode a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta che si carica quasi d’una connaturata, beata leggerezza, alimentata da quella romantica nostalgia che il distacco temporale favorisce, sicché si riesce talvolta a guardare a quel periodo con un bel sorriso sulle labbra. Il cinema che non si sia avviato in una revisione coscienziosa dei problemi di quegli anni, che non abbia abbracciato le crisi politiche, lo stragismo, il terrorismo, i drammi sociali legati all’emancipazione, il cinema meno serioso e più light-hearted che rimanda ai due decenni in questione, ne racchiude l’essenza in un’esplosione di spensieratezza, vivacità e sensualità.
Chissà se è quel che aveva in mente Richard Linklater quando ha girato Tutti vogliono qualcosa; il risultato, comunque, corrisponde. C’è lo sport, con un ruolo dominante nel film, essendo i protagonisti un gruppo di studenti al college membri di una squadra di baseball; c’è la musica, con una colonna sonora studiata a tavolino che va da My Sharona a Heart of Glass, passando per i Queen, Brian Eno e Donna Summer, che emerge nella materialità dei dischi presi tra le mani e si insinua fin dentro i dialoghi, in un confronto tra Pink Floyd e Van Halen (e la sequenza, all’inizio, coi ragazzi che girano in macchina cantando Rapper’s Delight è una delle migliori di tutto il film). E c’è il sesso. Quando non lo stanno facendo, i ragazzi ne parlano, di tutto il sesso che hanno fatto e che vorrebbero fare. Vanno alle feste per bere e per rimorchiare, ma soprattutto per rimorchiare.
Tutti vogliono qualcosa non sviluppa una storia come la tradizione vorrebbe, limitandosi a raccontare per immagini giustapposte, e seguendo questa decina di ventenni alle prese con bevute colossali, scherzi da idioti e riti di iniziazione – e il sesso, non fatemi essere ripetitivo – mentre tu sei lì che ti chiedi “ma cos’è che vogliono, di preciso? Cos’è quel qualcosa?“, e la risposta è proprio quella. Vogliono godersi quell’attimo di vita che precede la vita vera, fatta di doveri e responsabilità, e non è un caso che il film s’interrompa con l’inizio delle lezioni all’università. Li vediamo allenarsi ma senza impegnarsi troppo, corteggiare di volta in volta una ragazza diversa e prendere in giro l’unico che abbia una relazione stabile, e farsi beffe delle regole che vigono nella casa. Il film di Linklater, con un cast di semisconosciuti da urlo, è un inno alla giovinezza e ai sognatori – ultimo anello ideale tra i suoi lavori – ambientata per giunta nel 1980, punto di transizione tra i due decenni, come segno di un’epoca in cui era più che possibile sperare e sognare.
Ingredienti più o meno simili, ma con dosaggio diverso, si fondono nell’opera ultima di Shane Black – Shane Black, chi era costui? – Me lo son chiesto durante la visione di The Nice Guys, sicuro che avesse già fatto qualcosa di molto importante, volevo andare su Google a controllare nel bel mezzo della visione ma non riuscivo a staccare lo sguardo dallo schermo neanche per un attimo. A film ultimato, ne ho avuto la conferma. Anzi, ne ho avute due: Shane Black ha creato il marchio di Arma letale prima di passare alla regia, e il suo The Nice Guys è una bomba. Siamo nella città degli angeli nel 1977, la rivoluzione sessuale è già scoppiata e L.A. non è soltanto la sede di Hollywood, è anche il fulcro del mercato mondiale del porno. Due investigatori vi affondano dentro quando cominciano a indagare sul caso di un film a luci rosse, la cui troupe viene inspiegabilmente eliminata uno alla volta. Eccoli qua, il sesso, un’impianto narrativo che attinge al thriller e al noir mentre si muove tra i pericoli di una criminalità metropolitana diffusa, e una colonna sonora che vira verso tutt’altra direzione: coi Bee Gees e gli Earth, Wind & Fire che riecheggiano in sottofondo siamo chiaramente in un territorio tutt’altro che cupo.
In quest’amalgama tra il filone poliziesco-investigativo adattato ai toni della commedia, lo sdoganamento della promiscuità sessuale e l’uso di una colonna sonora che va ben al di là del semplice elemento di contorno, The Nice Guys rivela la sua aderenza ad una certa rappresentazione cinematografica recente degli anni Settanta, col suo autore che si riconferma amante e rifondatore dell’action e del buddy movie. Pazienza se Russell Crowe si è imbolsito, se Kim Basinger c’è ma si vede poco, e pazienza pure per le americanate del cinema pistolettaro e rissoso (come l’eroe di turno che sfugge illeso ad una scarica di mitragliatrice), se il risultato è un film spassoso come questo, se c’è Ryan Gosling – nel film è lui la vera molla comica – che cade in continuazione (ci avete fatto caso?), se tutto è così esilarante che non ci fai nemmeno caso al messaggio dolceamaro con cui si chiude, e quando finisce vorresti che non fosse finito. Perciò, a quando il sequel?
TUTTI VOGLIONO QUALCOSA: 9
THE NICE GUYS: 10
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