Il motivo per cui mi accosto sempre con scetticismo ai tentativi di resuscitare un universo cine e televisivo già bell’e concluso è che il rischio di vanificare quanto era stato raggiunto è altissimo. Difatti, è proprio l’errore in cui incappa Il ritorno di Mary Poppins. Questo, e quello di averci fatto rimpiangere Julie Andrews.
Saving Mr. Banks aveva chiarito abbastanza, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la tata piovuta dal cielo con l’ombrello non era venuta (solo) per aiutare i bambini di famiglia, ma per mostrare al loro padre un altro modo di vedere le cose, lasciandoli alla fine tutti felici e contenti mentre scorrazzavano per strada saltando e cantando. Il ritorno di Mary Poppins ci informa, invece, che i signori Banks sono entrambi deceduti, che i piccoli Jane e Michael non sono più tanto piccoli, e che lui ha perso la moglie e ora rischia di perdere pure la casa in cui è cresciuto lasciando i tre figli senza un tetto sopra la testa. Insomma, come dire “scordatevi pure il vecchio happy ending, le cose si mettono male di nuovo”, e poco importa sapere che il lieto fine arriverà inevitabile anche stavolta, ormai il gioco è fatto e il capolavoro del 1964 è sputtanato.
In realtà, a quel film di oltre cinquant’anni fa la nuova versione di Rob Marshall ammicca tante di quelle volte da far pensare che più di un occhiolino si tratti di un vero e proprio tic; cambiano i pretesti e gli stratagemmi, ma le trovate restano perlopiù invariate, come quella di sprofondare i protagonisti in un universo parallelo d’animazione, o di chiamare a raccolta un esercito di mestieranti urbani ballerini d’altri tempi, che qui hanno il volto e la divisa dei lampionai, o ancora il vecchio nemico di famiglia, gli avidi impresari di banca. Insomma, quasi una copia. Del sequel c’è ben poco oltre la linea cronologica, giacché Il ritorno di Mary Poppins è ambientato 25 anni dopo il precedente film: ritorna quell’ambientazione nebbiosa e prodigiosa, nella Londra in cui cose strabilianti possono accadere, e i personaggi che si suppone siano ancora in vita. Ma Mary Poppins non è più la stessa, nonostante l’impegno apprezzabile di Emily Blunt, e sembra non abbia più niente da dire e niente da insegnare, che il suo intervento sia marginale anziché provvidenziale, che il suo arrivo sia destinato soltanto a intrattenere temporaneamente i tre bambini anziché risollevarne le sorti.
Marshall è un maestro della composizione artistica, le sue coreografie incantano e l’uso delle tonalità chiare e accese contorna la storia di un’atmosfera gioviale e rassicurante, ma in fin dei conti resta un gradevole piacere per gli occhi e nient’altro, poiché persino delle canzoni ci si dimentica non appena si passa alla scena successiva. Degli espedienti originali inventati da questa nuova versione forse si salva soltanto la vasca da bagno che diventa il portale per una nuotata in mare, e direi basta così. Neanche Meryl Streep, il cui piccolissimo e ininfluente ruolo fa pensare che l’abbiano inserita soltanto per poter dire di avere nel cast Meryl Streep. Decisamente meglio per i camei di Angela Lansbury e Dick Van Dyke, che schiacciano spudoratamente il pulsante della nostalgia per chi è cresciuto in un’altra epoca. È anche a questo pubblico che si rivolge Il ritorno di Mary Poppins, ma dubito che chi di loro abbia ancora presente il classico Disney del ’64 possa rimanere davvero colpito.
VOTO: 5
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